Rassegna storica del Risorgimento

ARCHIVI COMUNALI ; PIETRASANTA
anno <1955>   pagina <85>
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Libri e periodici
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scorge che nomini allucinali dal riverbero del passato. I secoli, dirà ancora, antici­pando Carducci, i secoli hanno fomentato la collera di Marat; i secoli e la incapa­cità a comprendere l'esigenza di dare: un vero e proprio: contenuto religioso alla rivoluzione. Per questo scrittore per l'Italia , come Michele Amari l'aveva definito al Torre arsa nell'ottobre '48, che, nelle Revolution* d'Italie, aveva deplo­rato il malo influsso del Papato sull'Italia e lo illusioni del mito ncoguelfo, era logica l'accusa alla Rivoluzione di non aver saputo sottrarsi ai vincoli della Chiesa medioeyajte. Sou.s nos prétendues audaces socialùstcs aveva scritto nella ricor­data lettera al Mazzini del 7 luglio 1854 -, je suis étonne de la li mi di té d'esprit que je découvre . Soltanto un autentico spirito religioso può far compiere grandi e durevoli cose agli uomini: la deficienza di una coscienza morale e di un profondo e rinnovatore sentimento religioso aveva reso possibile il passaggio dal terrori* smo alla servitù. Chi aveva ceduto alla paura non era più capace di servire la libertà.
Per non aver voluto cambiare nulla nell'ordine morale, la rivoluzione aveva finito per sconvolgere ogni cosa, senza avere il coraggio di effettuare quella riforma religiosa, che, per l'influsso delle tradizioni domestiche, della sua for­mazione storiografica, delle sue simpatìe personali, il Quinet pensava si sarebbe dovuta compiere in senso protestante. La profession de foi da Vicaire Savoyard notava malinconicamente nella stessa lettera est devenue une religion en Amérique, dans la secte si vaste sujourd'hui des Unitariens qui sont comme le fond des Etats-Unis. Mais cette profession de foi du Yicaire Savoyard, qui pour-tant était encore Póme de la Revolution francaise, n'a pas pu s'enraciner che/, nous, ni devenir un germe religieux d'avenir . Ma qui era più nel vero il Mazzini, che, tramite Francesco Dall'Ongaro, fin dal luglio '54, aveva preso apertamente posi­zione contro l'illusione del Quinet che si potesse abolire per decreto il cattoli­cesimo: tanto più, egli affermava, che non v'è ragione per proscrivere il catto­licesimo e non proscrivere il protestantesimo : sono due varianti della stessa fede .
Queste preoccupazioni etico-religiose rendono meno efficace la rievocazione degli altri aspetti della rivoluzione francese nell'opera del Quinet: il quale, nel '62, ancora nella fase iniziale, aveva chiara coscienza che il suo lavoro avrebbe urtato e le suscettibilità dei repubblicani tradizionalisti e quelle dei liberali, con la sua presa di posizione contro quelli che gli apparivano i pregiudizi consacrati dalla passione rivoluzionaria e reazionario, con il suo negare alla rivoluzione il carattere di fatale rivincita d'un popolo tanto duramente e lungamente sacri­ficato da farne apparire giustificabili gli eccessi, con il suo insistere sulla necessità di sfumare, di distinguere, di precisare, con il suo rifiuto di considerare la rivo­luzione come un blocco unico, come un miracolo da accettare senza discussione e senza limitazioni. In realtà, tutto preso com'era dalla lotta contro il mito democratico della rivoluzione, egli ha trascurato altri elementi e momenti della complessa vicenda. La sua stessa visione della storia come protesta della libertà, il compiacimento eccessivo per i girondini in confronto ai giacobini, lo scarso interesse per i rapporti tra gli individui e le situazioni politiche, economiche e sociali, quel suo continuo filosofeggiare e profetare diminuiscono un po' l'efficacia dell'opera. Nella quale, tuttavia, grandi e nobili pagine, superbe intuizioni, stanno ogni momento a sottolineare la nascita della vera critica della rivoluzione liberata dal mito e ricondotta alla sua umana grandezza, in una interpretazione, che si inserisce tra quelle di un Michelet, di un Blanc, di un Tocqueville e l'altra immediatamente successiva di un Tome. Di quel Teine, del quale egli, quasi anti­cipando gli strali di Aulard, sentiva cosi scarsa stima da definirlo un rodomonte un bravaccio della filosofia. A chi era così ricco d'anima e d'entusiasmo' Ippolito Taine, che atavo scrivendo il primo libro delle sue Origines de la Franco contorti-poruine quando Quinet moriva, doveva davvero apparire senza anima e senza