Rassegna storica del Risorgimento

RADICATI DI PASSERANO ALBERTO
anno <1955>   pagina <649>
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il Manifesto del conte Radicati di Passarono 649
Si crede che in tutti rigorosamente possa esser competente il Giudice Laico, anche rispetto al primo e secondo della Eresia, e dell'1 Apostasia, per non trattarsi più di decidere, se sij tale, ma solo per punirla come si fa dette contravenzioni olii altri precetti di Dio, e Santa Chiesa quando sono nottarie, e per modo di Causa.
Ma perchè generalmente s'osserva, e si tiene a tenor de Sacri Canoni che il Delitto d'Eresia et Apostasia tanto nel riguardante la ragione, che il fatto sij delitto meramente Ecclesiastico, e di Giuridizione privative de Tribunali Eccle­siastici, si crederebbe che la Giuridizion Laicale potesse proceder contro fautore di detto Manifesto per il Scandalo causato dalla distribuzione, e diseminazione d'esso, e per li detti temerarij, ingiuriosi} e maliziosi nel medesimo contenuti.
In conclusione, tutti eran convinti che Radicati fosse eretico. Di ciò e'eran prove in abbondanza.
Ma proprio per questo la logica portava a concludere che toccava all'Inquisizione di punirlo. Di fronte ad una simile conseguenza i magistrati si fermavano.
Malgrado le loro dichiarazioni di rispetto per il Sant'Ufficio, essi inten­devano, anche allora, sostenere i diritti della giurisdizione laica.
Avanzavano l'idea che, almeno in un caso tanto evidente come questo,
10 stato avrebbe potuto procedere direttamente, ma si accorgevano che avrebbero così riaperto un conflitto con il clero e finivano per proporre delle soluzioni fragili ed incerte.
La forza ed i limiti del regalismo piemontese, la sua logica interna mi pare risultino così, con notevole chiarezza, da questi pareri.
Un processo in contumacia per scandalo e per la distribuzione e diseminazione d'un manifesto pubblicato a Londra e di cui pochissime copie eran giunte a Torino dovette finire per apparire una soluzione assurda. L'idea di un processo politico contro Radicati fu abbandonata e si finì per procedere contro di lui unicamente per il fatto che egli aveva abbandonato il regno senza il permesso del sovrano, violando così quel che era stato precisato nelle costituzioni del 1723. Parecchi mesi dovettero tuttavia passare prima che ci si decidesse ad infilare questa strada.
Soltanto nel dicembre del 1726 venne richiesta alla prefettura di Torino la prova che Radicati non aveva domandato la necessaria autorizzazione prima di partire. Nel gennaio venne aperta l'istruttoria vera e propria.
Vien naturale di chiedersi fin dove questo modo di procedere riflettesse la volontà dello stesso Vittorio Amedeo II.
È difficile sottrarsi all'impressione che proprio da lui derivasse la deci­sione di evitare un processo più vasto, che, oltre ad avere il difetto di basarsi su fatti di scarsa consistenza giuridica, avrebbe fatalmente portato a discu­tere quel che Radicati diceva della politica ecclesiastica del re di Sardegna.
11 silenzio era evidentemente la migliore delle soluzioni. Nel processo civile si eviterà infatti con cura di indagare tutto quello che riguardava le ragioni dell'espatrio di Radicati.
Il fatto che Platzaert sia, come abbiamo visto, all'origine della proce­dura iniziata e presto interrotta contro il manifesto non può che confer­marci nell'idea che tutto l'atteggiamento della magistratura piemontese di fronte a Radicati sia stato assunto col consenso o dietro l'ordine di Vittorio Amedeo II.