Rassegna storica del Risorgimento
TOSCANA ; RESTAURAZIONE
anno
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1956
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pagina
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20
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20 Alberto Aquarone
Era, come si vede, un'esplicita richiesta fatta al governo granducale di abrogare la legislazione leopoldina sulle proprietà ecclesiastiche, abrogazione die non solo era contraria ai criteri ohe tuttora informavano la politica' ecclesiastica dei governanti toscani, ma che non avrebbe potuto essere attuata senza provocar notevoli perturbamenti su tutta l'economia del paese, in conseguenza dilla rinnovata sottrazione alla libera circolazione di una rilevante quantità di beni immobili.
L'atteggiamento del granduca e del suo governo non conobbe del resto esitazioni: essi rifiutarono di prender neppure in considerazione il baratto proposto dalla Santa Sede e respinsero come inammissibile il principio di subordinare delle trattative diplomatiche, come erano quelle che stavano svolgendosi a proposito della vendita dei beni delle corporazioni religiose, alla preventiva modificazione del diritto interno dello stato. Ed in una sua lettera al Pontefice del 17 luglio 1815 il granduca, mentre da un lato si affrettava a dare tutti gli schiarimenti richiesti da Roma sulle modalità di attuazione della vendita dei beni in questione, non fece dall'altro neppure menzione della richiesta del Pontefice che LI governo toscano revocasse la legge sulle manimorte.l) Era un fin de non recevoir che la diceva lunga sulla posizione che le autorità granducali intendevano fermamente assumere di fronte alle pretese di Roma. Fatto sta che alla fine Pio VII, visto che non era possibile modificare l'atteggiamento dei governanti di Firenze sulla questione che gli stava tanto a cuore, fu costretto a cedere sp ed end D, in data 18 agosto 1815, un breve con cui veniva accolta la richiesta del granduca in merito alla vendita, a profitto dello stato, dei beni già appartenenti alle corporazioni religiose che erano state soppresse da Napoleone.
Superate così le difficoltà sorte nelle loro relazioni, la Santa Sede ed il Granducato poterono facilmente stipulare una convenzione amichevole per il ripristino definitivo degli ordini religiosi in Toscana, convenzione che fu firmata dai rispettivi plenipotenziari il 4 dicembre 1815.2) In base a questa convenzione fu istituita in Firenze ima commissione mista incaricata di presiedere al ristabilimento degli ordini regolari d'entrambi i sessi in tutto il Granducato. Tale commissione doveva essere composta di tre arcivescovi dello stato e di tre rappresentanti del granduca da lui prescelti; inoltre di tre altri ecclesiastici, nominati di concerto dal delegato apostolico, dal consigliere granducale Nuti e dall'avvocato regio Cempini. Essi avrebbero dovuto prender parte ai lavori della commissione come deputati di tutti i Vescovi della Toscana, i quali si metteranno in corrispondenza oon loro per far conoscere per mezzo di essi alla Deputazione i bisogni delle rispettive loro Diocesi in ordine a' Conventi da ripristinarsi, unitamente ai loro desideri, ed a quei lumi che crederanno di poter somministrare per la pia felice esecuzione di questo piano) (art. 2). Tutti i beni del patrimonio regolare superstite sareb-
l) Quanto agli Bchinrimenti forniti dal governo toscano, osili orano: che la vendita dei beni non avrebbe oltrepassato l'importo di 300.000 sondi; che detta somma corrispondeva ali'incirca al ventesimo del volore complessivo dei beni eoclesiustici rimasti invenduti; clic la restituzione del capitole sarebbe stata attuata nel termino di tlicei anni, con la corresponsione dell'interesse del S .
*) Il testo delta convenziono è stato pubblicato dallo Zoili, Storia civile, ecc., cit., npp., p. 109.