Rassegna storica del Risorgimento

1869 ; ECONOMIA ; FINANZA
anno <1956>   pagina <77>
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La rivolta del macinato (1869) 77
dall'esperienza di queste masse. Se sul piano economico e sociale il governo aveva il dovere di fare una politica di apertura e di rinnovamento per elevar spiritualmente e materialmente le condizioni delle campagne ed immettere i contadini nella vita dello Stato, sul piano politico esso doveva invece essere intransigentemente conservatore per difendere le istituzioni liberali sorte col Risorgimento.
Su questo punto però esso esagerò l'entità del perìcolo addossando ai legittimisti e ai clericali la responsabilità dell'accaduto; ma noi abbiamo visto che la partecipazione ai disordini di questi in realtà non fu una causa determinante, ebbe all'origine uno stato d'animo reazionario non un piano politico reazionario.
Comunque, essendo la crisi in stretta relazione con le insufficienze e ina­dempienze dei governi, rimane il fatto che essa fu sentita, come avremo modo di vedere, come crisi di regime, la prima dell'Italia unita. Del resto fu crisi non Bolo dei rapporti fra le masse rurali e lo Stato, non solo scoppiò in un momento in cui era giunto all'acme lo scisma fra le correnti liberali e quelle cattoliche, ma sono pure quelli gli anni in cui in seguito ad Aspromonte, Custoza, Xiissa e Mentana si rivelò una più interna crisi politica con la disso­ciazione e la polemica acredinosa sorta fra quelle attive forze politiche che fra il 1859 e il 1860 con la loro confluenza avevano realizzato il nuovo Stato.
Atteggiamento del clero. Come è da escludere lo zampino degli antichi governi, così non si può sostenere che il clero sia stato promotore e istigatore della rivolta. Quasi ovunque i contadini che volevano salire sulle torri per suonare le campane dovettero superare l'opposizione di parroci e campanari che con scuse o resistenze cercarono di rifiutarsi e negare il permesso.
Bisogna però riconoscere che l'atteggiamento del clero dovette contri-buire non poco a creare quella certa situazione di insofferenza psicologica che portò alla rivolta se non altro attraverso le critiche che ebbero modo di muo­vere alla tassa.
Il Genio Cattolico, periodico religioso di Reggio, il 18 aprile 1868 pub­blicò un articolo in cui esprimendo il suo pensiero sulla tassa osservò che la rivoluzione intendendo dire lo Stato unitario non si occupava che di lasciare al popolo i circenses mentre la Chiesa deplorava che gli si lasciasse mancare il necessario. Dopo avere distrutto i provvidi Monti Annonari, di fondazione duchista, si volle imporre una tassa sul pane che a così caro prezzo il povero e l'operaio si guadagnavano col raddoppiato sudore della loro fronte. Citò Thiers per il quale le imposte dovevano essere: il meno onerose possibile a sopportarsi, facili a riscuotersi, moderatamente pesanti per la produzione. La tassa sul macinato invece, secondo il Genio Cattolico, era gravosissima per la popolazione e per il governo, che doveva sostenere notevoli spese per i contatori e la burocrazia addetta ai controlli, si reggeva su un sistema di riscossione complicato e macchinoso, ed era assai onerosa per Pagricoltura. L'articolo cosi concludeva: Ricordatevi, o governanti, che l'Italia è assai stanca e spossata di tanto smungimento e voi stessi vedete in tutte le città tristi segni del suo dimagramento, ne udite dappertutto i suoi
gridi di dolore .
Oltre all'effetto deprimente di una propaganda, durata svariati mesi, orientata su questo tono, occorre anche notare le condizioni di particolare