Rassegna storica del Risorgimento

1852-1853 ; BELFIORE ; PROCESSI ; CASTELLAZZO LUIGI ; MANTOVA
anno <1956>   pagina <97>
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Luigi Casii'llazzo ed i processi di Mantova del 1852-53 97
Aggiungo poi, come affermazione storica) le disposizioni del Codice Tere-sia.no, escludere, fino a un certo punto dalla tortura preventiva del bastone, i Nobili) i preti e i laureati, esclusione, che forse giovava al Final già laureato, e non certamente a me, che presi la laurea un anno dopo la inflitta tortura.
Del resto, queste ciniche ed audacie asserzioni del mio accusatore accanito ebbero la loro punizione immediata nel grido unanime di riprovazione, che si elevava contro di Lui da tutti i paesi d" Italia, che avevan subiti gli arbitri e il bastone dell'Austria.
Ciò basta per quello, che io ho ragione di chiamare la parte storica delle ac­cuse a me fatte.
Siccome, però, i miei accusatori hanno creduto di adoperare a mio danno tutte le armi, anche a rischio come accade a loro più volte, d'infilarsi fra loro e da sé stessi, così intendo che, a togliere qualunque pretesto ulteriore ad infingi­menti e ad inganni, rispondano i Documenti e le prove materiali e morali alle toro accuse destituite di prove come di senso comune.
Si è parlato dei confronti molteplici che io avrei avuti col Tozzoli, con lo Speri, col Poma, col Montanari e con lo stesso principale accusatore Pinzi, il quale, poi, dovette ritrattare il suo asserto, ben sapendo che vi erano molti che potevano, con altre sue stesse rivelazioni, smentirlo.
Una parte anzi dell'accusa principale, che mi si volle addossare fu quella d'aver io in un confronto col Tozzoli, voluto implicare il povero Don Enrico nel brutto affare del tentato assassinio del Rossi.
Leggasi le lettere del Tozzoli attentamente e tutte (n. 2, n. 14 e quella al DobelH) e si vedrà come egli non abbia mai scritto dì confronti avuti con me ed anzi li escluda, nominando altri e non accennando a mio carico che voci a lui riferite.
Leggasi la lettera Fantolini (n. 3) comprovante come da chi e perchè si faces­sero correre nelle prigioni delle accuse contro di me.
Leggansi poi tutti i documenti scritti e pubblicati dello Speri, del Poma, del Montanari e di tutti gli altri implicati nel processo e non si vedrà mai che essi parlino di confronti avuti con me ma sempre di dicerie fatte in prigione.
Leggasi la lettera della Signora Bachi-Perego (n. 11) la quale citerò ancora sulla questione del Mori per vedere su chi, quantunque anonimo, peserebbero certe gravissime accuse.
L'Attila poi degli argomenti del Sig. Finzi, che costituisce un vero sacrilegio di tradita amicizia come di verità oltraggiata, è quello di aver accusato il Mori doppio tradimento verso di lui e verso di me, verso di lui, servendo a testimo­niare le accuse contro di lui portate, verso di me confessando a lui di averlo fatto per mia suggestione e consiglio.
Il Mori, cittadino intemerato e che poteva essermi padre per età e per senno, non poteva tradire nò il Pinzi, nò sdebitarsi dal tradimento dandone a me la colpa
di suggestione.
Egli, dopo aver resistito imperterito e senza ostentazione, confessava a processo finito e non aggravava die sé stesso ben lontano certamente dal dire una parola contro citi gli era e doveva essergli amico.
Le testimonianze dei miei amici Sacchi e Borchetta potrebbero bastarmi. Quella del Marchi ora morto, ma che a Genova nel 1864 faceva vita con me dimo­strandomi affezione paterna e fraterna può esser raccolta agevolmente dai miei amici Sacchi e Borchetta*