Rassegna storica del Risorgimento

1852-1853 ; BELFIORE ; PROCESSI ; CASTELLAZZO LUIGI ; MANTOVA
anno <1956>   pagina <118>
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Bono Simonetta
Tra il riconoscere al Castellazzo delle colpe ed il condannarlo irrevoca­bilmente come uno degli esseri più abbietti, ci corre un abisso. Il suo caso non può essere giudicato a sé, non può prescindere dalle circostanze in cui si è svolto* e richiede quindi che esaminiamo, sia pure brevemente, ma obietti­vamente quale fu il contegno dei suoi compagni di carcere, e quali le condizioni in cui essi si trovarono.
La prima parte di questa disamina potrà essere fatta più compiutamente il giorno in cui tutti gli interrogatori saranno stati pubblicati; ma, ad un primo esame, vediamo subito come le diverse linee di condotta seguite dai diversi imputati si possano ricondurre sostanzialmente a tre.
Quella di nulla palesare, anzi non pensar nemmeno a giustificazioni: negare e negar sempre, negar fatti e circostanze: comparire se necessario, anche imbecilli, ma negare: sono parole del Pastro, ma, su più di cento accusati, solamente il Finzi ed il Donatelli avranno, col Pastro, la fermezza, potremmo quasi dire l'ostinazione, di seguirla inflessibilmente fino in fondo. E sarà questa linea di condotta a salvar loro la testa !
Quella, all'opposto, di confessar subito tutto, fin dai primi giorni, coin­volgendo nell'accusa quante più persone possibile, nella speranza di veder diminuire, nel gran numero di colpevoli la propria colpa individuale, di dimostrare il proprio pentimento, di cattivarsi le simpatie dell'auditore. Ne è esempio tipico il Bosio, seguito, con qualche ritardo nella confessione e nelle delazioni, dall'Ottonelii e dal Faccioli.
Quella infine di confessare solo ridotti allo stremo delle forze, quando le accuse mosse dall'auditore erano, o parevano, poggiare su fatti precisi ed inconfutabili, da lui perfettamente conosciuti (annotazioni sul registro Tazzoli decifrato, deposizioni di compagni ecc.), quando la volontà ed il corpo non reggevano più alle pene sopportate. E questo quel che avvenne ai più: ci fu chi resistette più a lungo, chi meno, la cosa poteva dipendere in parte dal diverso grado di resistenza individuale, in parte da quello che l'auditore dimostrava di sapere già; ma che fosse quasi impossibile resistere, è dimostrato dal fatto che, su tanti, solo tre resistettero.
Val la pena di rileggere quanto qualcuno di loro ha lasciato scritto sul modo come gli imputati venivano trattati ed interrogati.
Alla Mainolda, scrive il Finzi,1) m'ebbi isolamento assoluto, non mi era dato di respirare che la piccola quantità d'aria introdotta per due fori ristretti di una tela incerata applicata ad una finestra munita di due inferriate ed una graticciata; non ricevevo altra luce che quella che poteva penetrare dai due fori dell'incerata; non avevo un libro su cui fermare il pensiero: in tutta la stanza non esistevano che un sacco di paglia impura e due vasi di terra rozzi, l'uno per usi personali, l'altro da acqua: portavo gravi ceppi che ho trascinati dal primo all'ultimo giorno; ricevevo a nutrimento, in una scodella scrostata, una minestra di broda nera con fettuccine o riso misto a fagiuoli, dove, in mezzo agli occhietti di grasso, galleggiavano vermi; vi erano aggiunte due focacciellc di pane nero, di piccolo dimensioni, che non tutte però potevano es­sere mangiate qualunque fosse l'acutezza dell'appetito, giacché, inghiottendole tutte, determinavano il molestissimo incomodo dell'irritazione intestinale .
1) In Lezio, / procuri politici eli., p. 71.