Rassegna storica del Risorgimento

1852-1853 ; BELFIORE ; PROCESSI ; CASTELLAZZO LUIGI ; MANTOVA
anno <1956>   pagina <119>
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Luigi Castellaszo ed i processi di Mantova del 1852-53 119
E lo Spuri,1) scrivendo dal carcere a Tarquinia Massarani pochi giorni prima di essere impiccato:
Ora le dirò in pochi tratti, come suolsi procedere contro di noi. Uno, anche sopra un vago indìzio, anche sopra un semplice sospetto, viene arrestato! Ebbene, lo si conduce ammanettato, senza dirgli parola, al Castello, ove subisce una pic­cola esortazione di Casati, che fingendosi tenerissimo cuore, giurando sul suo onore, su sua moglie defunta, e sututta le sacre cose, gli narra che tutto è scoperto, unica via di scampo essere Vacquistar meriti colla spontaneità delia confessione, essere cosa assicurata da S. M. che ai confessi sarà ridotta a metà la pena, e per quanto grave la colpa, mai il supplizio; e qui, informato appositamente dei particolari del processo, espone con arte maligna tutte quelle circostanze che gli sona note, le quali senza illuminare il reo della sostanza della sua accusa e da che dipenda, lo mettono in grande imbarazzo, in terribili dubbi. Se il reo non si mostra commosso o persuaso ad essere ragionevole colla sua posizione (parole del Casati) viene condotto in una delle più tetre prigioni dov,è caricato di ferri, sopra un letto di paglia per dormire sul nudo terreno, e dove Casati, preso tono serio, si impegna di accrescere colle parole Vorrore di quel luogo, ove non avrà che pane per cibo, acqua per bere, poca paglia per dormire, e le catene per compagnia di giorno e di notte, a meno che ostinandosi a non dar prova di vera sincerità, egli non sia costretto con suo grande dolore ad accrescere le misure di rigore accrescendo il peso dei ferri, ponendolo in prigione a pianterreno, e finalmente colla prova estrema... il bastone. Frattanto nessuna corrispondenza coi suoi di casa, nemmeno un saluto dalla madre o dalla moglie, nessun provve-dimento pei suoi interessi, nessuna parola con anima vìvente, nemmeno coi guardiani, die gli tolgono le catene nel fatto di vestirsi o svestirsi, unico momento in cui sarà senza ferri (tre minuti). Lo si lascia così vari giorni, secondo le cir­costanze, durante i quali, Casati, con in bocca un ben acceso sigaro di avana, io visita, parlando misteriosamente, raccontando circostanze qua e là raccolte dai detenuti, deci costituti e dalle informazioni di polizia; parla delle delizie che godono i confessi in grazia della autorità, certi di clemenza illimitata, viventi in compagnia, fra libri, calamai, vivande e corrispondenze personali coi propri parenti, e in mezzo a questo, sventure di alcuni restii, bastonati, quasi morienti, e riservati al supplizio. Come sembra tempo e pare che il detenuto dimagrato e ischeletrito dalle sofferenze sia maturo, lo si conduce dall'auditore che subito parla di clemenza a nome del feld maresciallo per i confessi e gli dice apertamente aver già nelle mani quanto basta per farlo impiccare non una, ma due, dieci volte; dover egli quindi non confessare il proprio fallo, ma piuttosto narrare le circostanze a sua cognizione. Incomincia quindi verbalmente e sommariamente interrogatorio, senza dire nemmeno di che cosa si tratti, senza fare altra doman­da che questa: Dica ciò che sa. Non vi è modo di cavarne di più, e se il detenuto non risponde, esita, o dicecosanon a proposito, Vauditore troncali di­scorso scuotendo la sciabola e grida: signor Casati, questo signore ai ferri, e fra 24 ore alla Mainolda se non si farà annunziare per dire ciò che è a sua cognizione . Se il detenuto tien duro, si va realmente alla Mainolda, spen­dendo 6 lire pel trasporto* e colà viene gettato in umido carcere, dove lo si lascia sprovvisto d'ogni cosa pia necessaria, e fino della luce e dell*aria; non ha che
1) In Luzio, J Martìri tàt Milano, Vallardi, 1951, p, 398, p. 402 e p. 403.