Rassegna storica del Risorgimento

1852-1853 ; BELFIORE ; PROCESSI ; CASTELLAZZO LUIGI ; MANTOVA
anno <1956>   pagina <145>
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Libri e periodici 145
Mu il colosso è il reale opificio di Pictrarsa tra Portici e S. Giovanni a Teduccio, specializzato nella costruzione di artiglieria e di marina, macchine a vapore, binari per strade ferrate, locomotive ecc.; essa impegna il maggior numero di operai (circa 1000) di fabbriche italiane (ad es. l'Ansaldo di Sampìerdarena ne aveva 480). Tanto fervore di attività industriale genera, sia nella burocrazia sia nell'opi­nione pubblica in genere, un senso di ottimismo, a creare il quale c'è tutta la politica protezionistica di Ferdinando II che, sia pure in modo (inizio, aiuta forte* mente le industrie nazionali. 1 limiti di questa politica economica sono individuati dal Petrocchi nella incocrenza delle applicazioni, in quanto spesso si agisce contro la protezione dichiarando che lo Stalo non deve intervenire nelle faccende private (esempio tipico la questione dell'industria delle maioliche di Castelli in Teramo). Tutto sommato però egli dice la politica industriale se è stata favorevole a speciali tipi di privativa o a premi o protezioni, non ha accettalo le varie forme di monopolio privato (p. 94). Per cui alcune oscillazioni che si riscontrano tra protezionismo e liberismo sono da una parte il risultato di vera e propria incoerenza di metodo e dall'altra di una politica industriale che vuole essere autarchica senza trovare nel paese le reali possibilità di rendersi tale (ed infalli il Regno di Napoli doveva importare ferro, piombo, carbon fossile, zucchero, ecc.).
Nell'insieme, però, l'A. riconosce che all'unità d'Italia il Regno di Napoli non portava una totale passività economico-industriale, anzi strumenti di progresso tec­nico che furono in seguito soffocati dalla politica industriale del nuovo Regno d'Italia (p. 98). Molto interessanti sono poi gli accenni alla situazione sinda* cale: mancano associazioni di operai che tendano all'aumento della mano d'opera, come pure quelle padronali che mirino al ribasso dei salari. Nelle città non si verificano scioperi, né tumulti, sia per la sorveglianza di uno Stato autocratico sia per la mancanza di una volontà operaia (p. 101). Verso gli operai qualche volta è inculcata carità e mansuetudine (Disposizioni di Polizia ai direttori e ispettori della Regia Strada Ferrata); altra volta si curano norme igieniche per stabilimenti* Ma la storia degli operai napoletani è così poco conosciuta che andrebbe studiata ex-professo.
Passando poi all'opinione pubblica il Petrocchi osserva che non può dirsi che essa si sta reso esalto conto del problema industriale del paese. Vi dominano oscillazioni tra eredità del mercantilismo ed eredità della fisiocrazia in una non trascurabile nebbia di confusionismo (p. 105), Così ad es. un Francesco Del Giu­dice che pure era vice segretario dell'Istituto d'incoraggiamento ritiene che l'agri­coltura sìa la più importante fra le industrie; un Bianchini, maggior economista dell'epoca borbonica, è scettico verso infatuazioni industrialistiche, benché non giunga ad essere un antimacchinista; il De Liguoro è su un netto piano antiprote­zionistico, mentre il Novi, il Rocco e Giovanni Manna, che fu pure ministro delle finanze, sono apertamente protezionisti.
La interessante ricerca del Petrocchi si chiude con succoso capitoletto (Verso la questione meridionale) in cui, delineate le opposte interpretazioni scttentriona-listiche e meridionalistiche*, si ammette come sostanzialmente valida la tesi espressa dal Nini che l'unificazione del debito pubblico e le forme assunte dalle emissioni del debito pubblico dopo il 1862 siano state una delle più grandi cause di trasporto di capitali dal Sud al Nord (p. 119). L'A. insomma riconosce che, a fianco della secolare attività artigiana, vi erano nel Mezzogiorno i primi passi di alcuni complessi industriali non inferiori a quelli del Nord, anche se la situazione industriale ita­liana prima dell'unità non era paragonabile con quelle più avanzate di Francia O Inghilterra.
Comunque la conoscenza delle industrie nel Mezzogiorno continentale prima del '60 era finora piuttosto frammentaria e superficiale; per cui va riconosciuto al