Rassegna storica del Risorgimento

1888-1889 ; IRREDENTISMO ; TRIESTE
anno <1956>   pagina <734>
immagine non disponibile

734
Italo de Franceschi
irredenta, che il 12 novembre 1888 così scriveva ad Aurelio Saffi: Oscure arti diplomatiche, alleanze ibride tendono con ogni mezzo a fuorviare il po­polo d'Italia dal suo vero cammino, apparecchiando l'Italia ad armarsi po­tentemente per una guerra, al cui solo pensiero essa rifugge con orrore. Le terre italiane ancor soggette al dominio austrìaco, benché conscie di tali pia­ghe che affliggono la Madre Patria, prive di qualunque barlume di speranza, abbandonate a se stesse, continuano l'opera loro senza volgere il capo, ma con lo sguardo fisso nella gran Stella d'Italia, lottano fidenti nel loro sacro diritto. Recente prova ne è l'imponente affermazione di domenica scorsa pel congresso della Pro Patria a Trieste. Chi ricorda oggi i poveri paesi nostri? Pochi generosi, cui l'interesse non soffoca gli alti ideali, e nei loro cuori i cari nomi di Trento e Trieste suonano dolci quando quelli, un tempo, di Venezia e di Roma.
Gli Italiani irredenti sia per la concezione idealistica che per la grandiosità della lotta che da soli dovevano sostenere non potevano suddividerai in gruppi secondo i vari partiti del Regno, alle cui teorìe e contese pur viva­mente si appassionavano. Nel lavoro di propaganda antiaustriaca, nelle pub­bliche manifestazioni d'italianità, mai venne fatta nella Venezia Giulia, in quei tempi, questione di monarchia o repubblica, di liberalismo o clericali­smo, di conservatorismo o radicalismo; gli irredenti approfittavano però ugualmente di una ricorrenza dinastica o di una commemorazione mazzi­niana per affermare le loro aspirazioni politiche o nazionali e per dar libero sfogo all'odio contro lo straniero dominatore. Ma nel Reguo l'atteggiamento dell'Italia ufficiale' decisamente ostile, per riguardo all'Austria, ad ogni ma­nifestazione irredentista, esacerbava gli animi degli emigrati triestini e istria­ni, che disconosciuti e spesso perseguitati dal Governo venivano spinti nelle braccia dei repubblicani e radicali, oppositori risoluti della politica estera triplicista nei quali trovavano incoraggiamento e appoggio.
Matteo Renato Imbrìani Poerio fu un vero cavaliere dell'ideale, che dal primo spiegarsi del movimento irredentista nel 1877, sino agli ultimi aneliti della sua nobile vita, combattè a capo d'un manipolo di generosi per la reden­zione delle tene italiane soggette all'Austria. Il periodico L'Italia degli Ita­liani, da lui creato e diretto, diffondeva la sua calda incisiva irruente parola da Napoli ad ogni angolo della Penisola, ed esso penetrava anche a Trieste e nell'Istria. *) Nei circoli democratici, nelle adunanze popolari e soprat­tutto nell'aula di Montecitorio, ove sedette dal 1889, l'Imbrìani levò la sua voce tonante in difesa di tutti i popoli oppressi, in primo luogo degli Italiani irredenti, scoprendo senza soggezione e riserbo le debolezza e gli errori del Go­verno nazionale non meno delle malefatte del Governo austriaco. E in que­sta lotta aperta leale coraggiosa veniva fiancheggiato dai suoi colleghi del­l'estrema sinistra Giovanni Bovio, Felice Cavallotti, Andrea Costa, Aurelio Sani, Sebastiano Tccchio e poi da Salvatore Barzilai, entrato alla Camera nel 1890, come mandatario e legittimo rappresentante di Trieste, tempra un po' diversa di combattente, più pacato e calcolatore, e alle volte anche opportunista.
1) Un numero con l'effigie e glorificazione di Guglielmo Oberdan ò conservato nella rac­colta di memorie delFìrredontiBino di Camillo da Franceschi, che lo ebbe a Pisino nel 18(14.