Rassegna storica del Risorgimento
PEDROTTI PIETRO
anno
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1956
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pagina
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794
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794 Libri e periodici
finire il momento eroico della Rivoluzione? E dove vanno a finire le eroiche ombre del Marat e dell'Incorruttibile?
Un po' perplessi altresì può lasciare quella parola socialismo , che vediamo rispuntare nelle note critiche del Cantimori, in un richiamo al Croce ed al La-briola. Forse non sarebbe stato male, a parere nostro, chiarire il valore da darsi ad un tale richiamo. Che di socialismo se male non ci apponiamo si può parlare soltanto allorché si discute di trapasso da proprietà privata a proprietà collettiva e di capacità da parte dei lavoratori di muoversi e diventare soggetto, anziché oggetto di storia. Ed in questi scrittori, tra cui non è stato possibile includere il Buonarroti, c'è solo un gran parlare della repubblica di Sparta e di legge agraria. Dopo di che, il Ranza, copiando letteralmente l'Alfieri (Della Tirannide, I, 7), afferma che popolo è solo quella classe di cittadini e contadini più o meno agiati, che posseggono propri lor fondi o arte : non già i nullatenenti corrottissimi e scostumati . Il L'Aurora, nei suoi programmi di riforma agraria, si limita a chiedere che i proprietari terrieri cedano una parte delle loro terre ai contadini, me* diante pagamento di un canone periodico: e quando arriva ai dettagli pratici, impiega tutto il proprio inchiostro ad arzigogolare punizioni, non già per i ricchi che evadano tale norma, ma per i contadini che non paghino il censo agli antichi proprietari. Nicio Eritreo ed il Compagnoni intonano il peana ai Francesi, in nome del progresso dell'agricoltura, dell'industria e del commercio (e il primo chiede subito scuole tecniche e commerciali) sul metro del messieurs, enrichissez-vous . Lo stesso Vincenzio Russo, pure sognando una società di agricoltori filosofi (ma anche il Jefferson la vagheggiava e nessuno lo considera un pre-socialista...) e disprezzando i mei> canti, quando arriva al concreto, non si perita di dire che i popolani sTaanno da cavare dalla testa di potere aver parte subito del governo: l'avranno un giorno, quando si saranno fatti educare dai buoni repubblicani...
Né la cosa ci sembra secondaria, che anzi sospettiamo che, forse, proprio partendo da questa significativa diffidenza che i nostri giacobini provano verso gli autentici popolani e contadini, si possa veder più chiaro anche nell'altra questione della loro effettiva importanza storica. Con il Cantimori siamo d'accordo che le dottrine politiche di costoro restano, a conti fatti, modesta cosa: non molto più, in genere (ancorché non sempre), di un Rousseau in salsa di Esprit des Lois, con qualche contorno personale assortito di utopie. Per sostenere che essi abbiano avuto un'importanza storica veramente notevole, bisogna dunque ammettere che i nostri giacobini contano non solo per quello che hanno detto e scritto, ma per quello che le loro parole, magari approssimative, significano nella temperie slorica del momento: l'esplosione delle impazienze, delle speranze apocalittiche e confuse, delle passioni e magari dei rancori accumulati da gruppi e ceti sociali sino ad allora muti o quasi nella storia italiana. Ma la parola dei nostri giacobini non è, come si è visto, voce di ceti popolari urbani o rurali: è voce di piccoli borghesi malcontenti, specie dei minori centri di provincia (e si capisce bene perchè questi accolgano con entusiasmo la polemica di Gian Giacomo contro le grandi città o disegnino di distruggere gli stati locali e creare l'unità d'Italia !), di minuti intellettuali, professionisti, preti semi-colti senza fortuna. È insomma voce di gruppi e ceti che hanno voglia di contare qualcosa nella società italiana e che ieri, al tempo delle riforme illuministiche, si sono trovati compressi dalle potenti consorterie di grandi burocrati, professionisti, o docenti, di nobili ed alti ecclesiastici progressisti, accentrate attorno alle capitali dei vari stali: che oggi vedono con furore ricrearsi un analogo ceto di notabili attorno ai governi stessi impiantati dai Francesi e pertanto sognano la falce di un'ancor più radicale rivoluzione, pure non riuscendo a spogliarsi mai di una loro congenita animosità verso i bifolchi e la canaglia. Che i nostri giacobini parlino di legge agraria non significa necessa-