Rassegna storica del Risorgimento
1860 ; MEDICI GIACOMO ; GARIBALDINI
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1957
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pagina
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104
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104 Un giudizio di Giacomo Media
pre utile tener presente il prezioso volumetto della Biblioteca Rara del San-dron: La Canzone di Garibaldi di Gabriele D'Annunzio documentata da Alberto Mario, G. Guerzoni, L. Anelli ed altri contemporanei (1903). Si potrebbe anche pensare, per quanto a torto, che quei giudizi siano stati dettati da passione di parte, ma a convalidarli serve invece quanto si deduce dalla opinione del generale Giacomo Medici, testimonianza indubbiamente non sospetta, perchè egli era uomo di sicura fede monarchica, avendo ricoperto la carica di primo aiutante di campo di Vittorio Emanuele IL Troviamo, infatti,-fra le sue carte, conservate nell'archivio Mario, espressioni sincere del suo stato d'animo che meritano di essere rese di pubblica ragione, perchè oramai non restino più dubbi sui gravi errori di psicologia, commessi da autorevoli esponenti di parte monarchica, e che produssero danni incalcolabili contro la necessaria solidarietà di tutti coloro che lavoravano indefessamente per la causa nazionale.
Si legge in uno di questi documenti autografi, su carta intestata Esercito Meridionale. 17a Divisione. Stato Maggiore. Gabinetto (senza data e indirizzo): In mezzo ad una popolazione corrotta e ignorante se vuoi, ma cordialmente, sinceramente riconoscente verso i suoi liberatori Garibaldi e compagni, dunque, il primo passo di Cavour fu ostile, Fanti e Farìni hanno fatto il resto [Le sottolineature sono nel testo]. H Governo se non di questo passo, per altra via conduce il paese alla guerra civile. Si può anche ammettere che in Giacomo Medici parlasse ancora il sentimento dell'antico commilitone garibaldino, ma egli era anche un uomo d'onore ed un fedele servitore della monarchia, per cui non possiamo in alcun modo dubitare della serenità delle sue osservazioni, colte sul vivo degli avvenimenti che si svolgevano sotto i suoi occhi. Nello stesso appunto, dopo avere rilevata la debolezza del re, aggiungeva: Garibaldi è oggi assai più seguito e venerato di lui. Garibaldi lo sa, non è uomo da prevalersene, ma domando io è ella sana politica questa di provocarlo li suoi militi rinviati alle loro case coll'elemosina di pochi franchi i suoi ufficiali lasciati tutti nell'incertezza quanto alla loro posizione non uno accettato nell'armata regolare.
È pertanto strano che lo stesso Medici, dopo quel suo severo giudizio sulla ottusa capacità della casta militare piemontese, in un momento in cui doveva prevalere lo spirito unitario nazionale, rimproverasse in un altro documento di pari data ad Agostino Bertani, segretario generale del dittatore Garibaldi, la sua temporeggiatrice procedura annessionistica, in attesa che fosse consultata liberamente quella popolazione: Bertani è un valentissimo medico, un buon patriota, un cattivissimo politico. Proprio lui, di fronte alla politica piemontese che, a giudizio dello stesso Medici, conduceva alla guerra civile? Evidentemente, la squalifica del valentissimo medico e del* buon patriota come uomo politico nasceva dal disappunto degli annessionisti impazienti, e spesso troppo spregiudicati, verso il temporeggiatore.
Ma per avvalorare un coscienzioso giudizio morale sugli avvenimenti in parola può sopratutto servire quanto nel medesimo documento autografo il generale Medici osservava spassionatamente sull'incontro di Teano, episodio indubbiamente umiliante perii liberatore del Mezzogiorno, e ohe dette l'avvio a tutti gli altri errori di psicologia, lamentati dal medesimo osservatore:
Perchè il Re ò venuto troppo presto? E perchè si è lasciato partire Garibaldi in quel modo? Il Re, se pure doveva venire, ci doveva rimanere in compagnia di Garibaldi. Erano due astri che ai prestavano la luce reciprocamente. Partito