Rassegna storica del Risorgimento

CADDEO RINALDO
anno <1957>   pagina <146>
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146 Libri e perioditi
allora il reggimento stava ricostituendosi, non la fa più grave. Ma l'appunto suscita, tra altri' ricordi, quello del generale che minaccia alla trentina di ufficiali super­stiti: Se nella mia divisione dovessi alzare la forca, alzerei la forca! .
... E s'io pur ti voglia
passar sopra con l'erpice, il dosso
diromperti, be*, questo è ben fatto .
Ma, forse, il generale non pensava a Lazzaro di Roio. Neppure quando insi­steva: Uccidere un uomo, oggi, è come uccidere una mosca . Sbalorditi, pallidi, angosciati, gli ufficiali che avevano portato a salvamento i loro uomini, le armi e l'onore del reggimento respirarono quando, uscito il generale dall'aula scolastica dov'erano stati a gran rapporto, si sentirono dire dal loro colonnello, che li aveva guidati durante la ritirata e, a Isola di Carturo, aveva fatto rinnovare davanti alla bandiera il giuramento: Signori ufficiali, io chiedo loro scusa per le parole che hanno ascoltato... .
Erano gli ultimi sussulti di un'epoca che finiva. Il tono del discorso appar­teneva ad un altro tempo, a quello dell'esercito staccato dal paese, di un'Italia al campo diversa dall'Italia a casa. Con Caporetto l'opinione pubblica si scuote e fa ammenda: la vita dei profughi e degli sbandati laceri e sfiniti, la catastrofe di una boria conquistata con la pelle degli altri, la rivelazione improvvisa che la guerra era una realtà che non consentiva assuefazioni, lassismo e canzonette, tutto questo mutò l'orientamento degli Italiani. Tutto d'un tratto i cittadini scoprirono il soldato: sporco, pidocchioso, schivato, apparve egli nel suo vero aspetto di uomo che dà il meglio di se stesso per l'Italia (p. 208). Di qui una reazione morale, cui s'accompagnarono provvidenze pratiche: senza lasciarsi tra­scinare alla faciloneria di apprezzamenti troppo assoluti, si può riconoscere nello scorcio del 17 e del 18 il potenziaménto e la liberazione di tutti quegli eie* menti di forza guerresca vivi anche prima della grande sconfitta, ma come soffo­cati per un generale assenteismo e per la stanchezza. Da un male, quindi, un bene, dolorosamente conquistato. Un bene, che ebbe ripercussioni internazionali con il rafforzamento della collaborazione tra l'Italia e l'Intesa e l'assorbimento della nostra guerra, fino allora sentita ha ragione il Monticone quasi esclu­sivamente come italo-austriaca, nella guerra dell'Intesa. Ma Caporetto pesò sempre nel giudizio degli alleati e degli stranieri in senso a noi sfavorevole perchè non la si volle mai riconoscere, come, in realtà, era stata, una sconfitta militare. E proprio per questo, allora e più tardi, commisero, più che un errore, una colpa quanti credettero di far bene imputandole altre ragioni. Non si accorsero, ciechi ed ottusi, di aggravare cosi il pesante fardello di quella sconfitta e, anziché attri­buirla alla incapacità tecnica o alla insufficienza morale di pochi individui, ebbero l'inconscia abilità di renderne responsabile l'intera rappresentanza in armi del popolo italiano. L'Italia stessa, quindi; accusata, malgrado la retorica parolaia di piazza, di giornale e di parlamento, di non saper resistere alla tentazione di farla finita con la guerra e di mandare al diavolo il proprio onore per qualche manifestino di propaganda -e per qualche frase sussurrata in un cambio di vedette, in una marcia di trasferimento, o durante un fiducioso spidocchiamento. Il tenente lom­bardo, che, rotolando giù dallo Sto], gridava a qualcuno di noi : Adesso me ne vado a casa: sono stufo di battermi per i Veneti!, il suo disfattismo se l'era fabbricato da solo. A u r>