Rassegna storica del Risorgimento

DALMEDICO GIUSEPPE GIACOMO ; GARIBALDINI
anno <1957>   pagina <792>
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GIUSEPPE GIACOMO DALMEDICO GARIBALDINO DI VECCHIO STAMPO
APPUNTI DA FRAMMENTI DELLE SUE MEMORJE SCRITTE, DA LET­TERE E CIMELI E DA SUOI RICORDI ORALMENTE TRAMANDATI
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1. U 1849 aveva segnato le delusioni più amare subite dai patrioti italiani a partire dai primi albori del nostro Risorgimento nazionale né mai crollo più vasto delle speranze e dei programmi d'unità territoriale comunque vagheggiata, avvilimento più profondo nelle coscienze degli uomini liberi, rimistura di debolezze e di difetti umani o peculiari della nostra stirpe, sgre­tolamento della compattezza spirituale tanto agognata e stentatamente edifi­cata senza il cemento insostituibile di grandi gioie e dolori comuni, sensa­zione diffusa che la stessa integrale idea di Patria dovesse rimanere utopica per il nostro paese destinato ad essere pedina manovrata nel giuoco delle grandi potenze, radicata convinzione che la lotta intrapresa fra le aspira­zioni indipendentistiche e gli interessi dominanti non si sarebbe mai potuta concludere a favore delle prime siccome la forza degli Stati è superiore a semplici chimere, tracotante baldanza dei vincitori o degli opportunisti, smarrimento di una direttrice unica per il soccombere delle iniziative e dei propositi nelle menti più elette, poterono a molti sembrare come allora evi­denti ineluttabili fatali. Mai come allora se si eccettua, mi pare, il periodo postbellico a noi più recente nei suoi aspetti di prolungata guerra interna­zionale e civile.
Eppure, per usare l'espressione del poeta della riscossa, fu dal campo di una battaglia perduta che spiccò il volo l'aquila d'Italia. Senza le delu­sioni del 1849 non avremmo avuto la maturazione più lenta ma più realistica e consistente del processo risorgimentale, così come senza Caporetto non saremmo più tardi arrivati alla sfolgorante vittoria.
Sventure ed esperienze che hanno la prodigiosa virtù di temprare i ca­ratteri, stimolare la riflessione e i propositi, spronare all'audacia, come il fabbro forgia i metalli e ne fa sbalzare strutture agili ardite robuste. Sventure ed esperienze che le minoranze intellettuali più sensibili, di ogni strato so­ciale, sanno sempre meditare interpretare valorizzare, finendo per innamo­rare, rimorchiandole e poi trasformandole in assertrici convinte, le gioventù esuberanti d'ogni plaga e d'ogni tempo.
Apparteneva a tali minoranze, propugnatore sensibilissimo e intelli­gente degli ideali nazionali, un fascinoso tipo dalla figura slanciata e grave, con una barba bianchissima, lunga e fluente, cosi da ben ritrarre l'immagine di quei senatori e di quei dogi che avevano fatto gloriosa nel mondo la sag­gezza della Repùbblica Veneta. Tanto intimamente Angelo Dalmedico, de­gno rappresentante di una famiglia d'origine israelitica, era stato penetrato dai suggestivi e delicati influssi di quell'ambiente storico e sociale.
Fin dalia gioventù, egli si era legato con ammirazione ed amicizia immu­tabilmente profonde s Niccolò Tommaseo, l'impulsivo ed entusiasta italiano della Dalmazia, erudito acutissimo della patria favella, che aveva tra l'altro ricercato con amorevole pazienza i Canti toscani, còrsi, greci, illirici, stani*