Rassegna storica del Risorgimento
CARLO ALBERTO RE DI SARDEGNA ; SARDEGNA (REGNO DI) ; STATUTI
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1958
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Lo statuto alberano e Vavvento del regime parlamentare 31
Ed infatti il re cominciò col congedare, di sua iniziativa, il ministero democratico e chiamò al governo il generale de Launay. Quando questo si presentò alla camera subalpina il 27 marzo 1849, non ispirò fiducia. Ne potevano rassicurare gli animi le clausole dell'armistizio e specialmente
in dubbio; perciò cedetti e credo di aver fatto beue (dal rapporto di Radetzky al principe Schwarzcnberg del 26 marzo 1849, in A. FIMI?uzzi, La paco di Milano, Roma, 1955, p. 25).
Il Moscati (Nuovo ricerche su la pace di Milano, in Rimata storica italiana* 1948, p. 378 e segg.) dice cbo Vittorio Emanuele a Vignale, parlò ne mai soltanto di riforma dello statuto, non di abolizione , come appare da un documento a firma del generale Hess (p. 383). Ma quale riforma? La carta albcrtina era tale che qualunque mutamento in senso autoritario la avrebbe svuotata di ogni contenuto. E come avrebbe potuto tradurre in atto la riforma senza un colpo di stato? Nessuna camera sarebbe stata disposta a seguirlo, neppure quella eletta dopo Moncalieri. E allora non si capisce perchè si sarebbe dovuto fermare a mezzo. Se un tal proposito vi fosse stato si dovrebbe dubitare della lealtà che il Moscati riconosce senz'altro al re. Ciò che si può dire con certezza è che Vittorio Emanuele non fu costituzionalista per vocazione, ma per necessita, etica se intese tener fede alla parola del padre, economica se fece un calcolo politico.
Un fondo di verità nella leggenda, ancora largamente diffusa in Italia, di un Vittorio Emanuele fiero difensore dello statuto a Vignale, è nel fatto che se fosse stata offerta all'Austria la soppressione degli ordinamenti costituzionali, ai sarebbero certamente ottenute delle più. ampie concessioni. Pèrche se, come hanno osservato l'Omodeo, il Moscati e il Filipuzzi, anche l'Austria nel marzo 1849 era diventata uno stato costituzionale, è pur vero che la classe dominante era sempre la stessa, fatta di nomini che, anche nell'ipotesi di una leale accettazione dei nuovi ordinamenti, conservavano nel cuore il culto dell'assolutismo. Il Filipuzzi che pure con le sue ricerche ha dimostrato che da parte austrìaca non vi fu alcun attentato allo statuto albertino, mostra in più plinti quale fosse il vero animo dei negoziatori austriaci a Milano. La nomina a presidente del consiglio del de Launay, il vecchio commilitone del generale Hess nella campagna antinapoleonica degli anni 1813 e 1814 viene accolta con soddisfazione (FILIPUZZI, op. cit., p. 37). Preoccupato si mostra invece il ministro Bruck all'annunzio dell'avvento di Massimo d'Azeglio uno dei vecchi liberali più. eminenti (p. 156). Quando pare che lo stesso Azeglio inclini a reazione (p. 219) i plenipotenziari austriaci se ne compiacciono. Il consigliere di legazione barone Metzburg, inviato dal Bruck a Torino nel giugno 1849, così riferisce il suo colloquio col d'Azeglio: Udii poi con- vera soddisfazione il suo giudizio molto esatto sulla posizione del Piemonte difronte all'Austria. Condannò con cuore amaro i traviamenti dei suoi connazionali, deplorò la sciagura dell'introduzione in Italia del sistema costituzionale, per il quale gl'italiani non sono ancora maturi, e che essi non comprenderanno mai (p, 220).
11 Filipuzzi ha parole severe per il d'Azeglio, dice che quel documento di parte austriaca, ci presenta sotto una luce più cruda uno dei tanti idoli nati in Italia nel secolo passato (p. 219). Ma questo episodio non autorizza a dubitare della lealtà costituzionale di Massimo d'Azeglio. La sua scarsa fiducia sulla maturità politica degli italiani, era già nota, e si conosceva anche la sua lettera del 17 gennaio 1849 a Teresa Targioni 'Pozzetti in cui vi è questa frase: Tutta l'Europa torna ai codini e così bisognerà fare anche in Piemonte e in Italia (M. DE Burnus, Confidenze di Massimo d'Azeglio, Milano, 1930, p. 32). Ma vi è tutta la sua opera politica e vi sono molti altri documenti, da tempo editi, che dimostrano che egli tenne fede alla sua concezione dello statuto (governo rigidamente costituzionale). U colloquio col Metzburg fa pensare che in fondo anche l'Azeglio sapeva essere diplomatico. Ma a fugare ogni dubbio basta considerare il fermo atteggiamento da lui assunto durante la crisi Calabiana (cfr. nota 2 a p. 33). Cfr. anche A. M. Ghisalberii, Massimo d'Azeglio, un moderato realizzatore, Roma, 1953, pp. 140-160.
') E norma di correttezza costituzionale che all'avvento di un nuovo re, il ministero dia le dimissioni. Ma sarebbe scorretto da parte del re l'accettarle so il ministero godesse la fiducia della camera. Nelle straordinarietà degli aventi che lo avevano portato sul trono, Vittorio Emanuale avrebbe avuto comunque una larga possibilità di iniziativa, anche in regime parlamentare. Ma il fatto è che non si era ancora la regime parlamentare. Altrimenti la camera subalpina piuttosto che ricorrere al macchinoso espediente di misconoscere la legittimità dell'investitura regia del de Launay, mancando un atto formalo di abdicazione di Carlo Alberto, avrebbe potuto pifì semplicemente votare una mozione di sfiducia