Rassegna storica del Risorgimento

CARLO ALBERTO RE DI SARDEGNA ; SARDEGNA (REGNO DI) ; STATUTI
anno <1958>   pagina <36>
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Emanuele Flora
poter costituire un governo di destra, ohe gli darà la possibilità di riaffermare le sue prerogative .
Perchè Vittorio Emanuele non si rassegnò facilmente a diventare il su­premo notaio dello stato, il cui compito era soltanto quello di rogare atti che altri aveva deliberato, il più delle volte all'infuori della sua volontà e spesso contro la sua volontà. Egli non rinunciò mai all'idea di svolgere una propria politica personale e una attività diplomatica autonoma, parallele a quelle del governo. E con ciò veniva a violare gli stessi principi sanciti dallo statuto. Di qui il prolungarsi della lotta, anche dopo l'avvento di Cavour al potere. Vittorio Emanuele non capì allora o non volle capire che mante­nere il Piemonte nella stretta orbita dello statuto albertino era impossibile. Non che astrattamente un regime semi-assoluto, quale era in Prussia, fosse da escludere. Ma in Piemonte bisognava fare i conti con una classe politica liberale già matura, e che si era enormemente arricchita con l'afflusso degli esuli provenienti da ogni parte d'Italia. Sta proprio qui la ragione della supe­riorità del Piemonte sugli altri stati italiani, nel fatto di avere una classe politica. A Napoli lo statuto era già morto prima ancora del 15 maggio, era nato morto. Lo spettacolo di quei pochi mesi di governo costituzionale fu desolante. Le ambizioni sfrenate, gli intrighi, le sorde lotte di corridoio, i continui clamori della piazza, le intemperanze della stampa, il disordine, l'in­certezza nella trattazione degli affari, tutte quelle cose insomma che con parola nuova furono definite le quarantottate , rivelarono la mancanza di una classe politica liberale. Il 15 maggio 1848 non fu che un taglio cesareo che mise alla luce quella reazione nella quale inevitabilmente sarebbe sfociata la rivoluzione napoletana. 1)
Nò gli esperimenti della Roma papale e della Toscana furono di molto superiori.
Ma in Piemonte, a poco più di tre anni dalla sconfitta di Novara, la classe politica, guidata dal Cavour, costrinse il re ad accettare il regime par­lamentare. Non vi era altra alternativa se non quella estrema del colpo di stato. Vi avrà pensato il re ? Forse in qualche momento di malumore l'idea gli sarà balenata, ma non è probabile che vi sia stato un proposito serio. L'Ouiodco riferisce un episodio che si è tramandato oralmente dal Castelli al Giolitti e da questi a Benedetto Croce. ÀI momento della crisi Calabiana il re manifestò a Lamarmora il proposito di saltare il fosso , e di fronte al fermo contegno del generale, volse la cosa in ischerzo.2) Ma non abbiamo clementi di controllo. Né è facile pensare che il re volesse rinunciare all'immenso prestigio che gli dava l'ordinamento costituzionale. Egli poteva sentirsi lusingato che in ogni altro stato italiano vi era un partito del re di Sardegna. La secolare ambizione della sua casa poteva sperare nel successo solo attraverso quella via* Non rimaneva che acconciarsi bon gre mal gre al regime parlamentare.
Ma la coscienza delle prerogative regie era dura a morire. H re il governo parlamentare lo subiva, ma mordeva il freno. Di qui i suoi tentativi di rove­sciare il Cavour, puntando sulle forze reazionarie ancora agguerrite in Pie­monte. E se alla camera era facile al Cavour averne ragione, più dura era
1) Naturalmente anche la malafede di Ferdinando II Va considerata. Ma con lina classe politica matura la reazione sarebbe stala impossibile.
2) A. OMCJDKO, L'opera Butilica del eonte di Cavour, voi. II, Firenze, 1941, nota 1) alla p. 68.