Rassegna storica del Risorgimento

PINTO MICHELANGELO ; ROMA ; MUSEI
anno <1958>   pagina <117>
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/ fondi archivistici del Museo centrale del Risorgimento 117
di prima categorìa, seconda classe, nel 1872; di prima classe nel 1879; con­sole generale di seconda classe nel 1885. Era giunto il momento di abbando­nare Pietroburgo, dove si era costituita anche una famiglia. Nel 1886 lo tro­viamo ad Algeri, nel 1888 ad Amsterdam, nel 1890 ad Amburgo, nel 1891 a Odessa, nel 1893 ancora ad Amburgo, per essere promosso console generale di prima classe nel 1894. A 87 anni, nel 1905, Michelangelo Pinto si deciderà ad andare a riposo!
A riposo come diplomatico, ma non come scrittore, perchè è datato Mi­lano, 1907, un lungo manoscritto che ci riporta agli anni della giovinezza: Pio IX e la rivoluzione 1845-1850. Una pagina dimenticata da ricordi per­sonali e documenti inediti . L'Italia gli appariva forse diversa da quella che aveva conservata nel suo ricordo, dopo tanti anni di lontananza; a lui, su­perstite di una generazione generosa, sembravano stonate anche le comme­morazioni che si facevano di avvenimenti nei quali aveva avuto parte diretta. Nelle sue carte non sono rimaste che poche lettere; ma, fra queste, interessanti quelle scambiate con Raffaello Giovaglieli, che gli era legato da devota ami­cizia e gli chiedeva lumi per le sue opere. Non possiamo terminare queste brevi notizie, senza riferire un brano di quel che Michelangelo Pinto scriveva da Amburgo il 24 ottobre 1897, riferendo la balzana idea che gli era ve­nuta di tornare a Roma per il 25 anniversario del 1870. Ma quando il cica-leggio dei giornali, il pettegolezzo delle polemiche, il cozzo fra comitati e sotto­comitati, commissioni e sotto-commissioni, progetti e controprogetti, e so­prattutto quando vidi che in luogo di celebrare un avvenimento così imponente come quello che dava air Italia la storica sua Capitale si riducevan le cose alla meschina solennità di festeggiare la Breccia di Porta Pia, rimasi scoraggiato e deluso.
Non era il fatto materiale d'avere sfondato una porta o d'avere abbattuto quattro sassi con una dozzina di cannonate, non era una impresa guerriera che la Nazione doveva solennizzare in quel venticinquesimo anniversario, era il trionfo di un grande ideale, la consacrazione di un principio, la realizzazione di un voto da sei secoli pronunziato, era il sospiro di 20 generazioni che saliva ad imper­sonarsi sul Campidoglio. Era il lavoro dei secoli che aveva scalzate le mura della Roma papale. Era il genio di Dante, il cuore di Michelangelo, la mente di Ma­chiavelli, la penna d'Alfieri, la passione di Foscolo, la sferza di Parini, la ras­segnazione di Pellico, la pietà di Manzoni, lo spirito cavalleresco di Azeglio, il fulmine di Guerrazzi, la fede di Mazzini, il sacrificio di Carlo Alberto, il senno di Cavour, la spada di Garibaldi, la lealtà di Vittorio Emmanuele che avevano spianata la via e apparecchiato il terreno. Era Vopinione di 30 mittioni d'Ita­liani che scandagliata, svelata, stimolata, raccolta e unificata con assiduo lavoro, poneva le fondamenta della Nazione e costituiva V Italia. La breccia di Porla Pia per la quale penetrarono in Roma le truppe condotte dal generale Cadorna nel 1870 era stata aperta e spalancata dai rivoluzionari romani del 1848. Ma a ciò nessuno poneva mente. Epperò cosa restava a fare ai pochi superstiti di quella obliata, anzi sbeffeggiata generazione? Astenersi e tacere, E cosi feci.
D'altronde, a parer mio, tutto in queir occasione fu errato, incominciando col falsare U carattere della festa solennizzando la data del 20 settembre. Era un criterio sbagliato. Il 20 settembre registra la data di una effemeride militare. Il diritto della forza rappresentato da una passeggiata di cannoni per le strade di Roma. H 2 ottobre, invece, colVimponente plebiscito d'imperitura memoria in-