Rassegna storica del Risorgimento
BIBLIOTECHE ; FALZACAPPA RUGGIERO (FONDO) ; CATALOGHI
anno
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1958
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pagina
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121
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LIBRI EfPERIODICI
ELIO Apra, La società triestina nel secolo XVIII; Torino, Einaudi, 1957, in 16, pp. 230. L. 1.500.
Questo volume di Elio Apih, che viene a porsi accanto ai recenti studi critici sul TOH veneto (come quelli del Petrocchi e del Berengo), studia la struttura della società triestina del secolo XVIII, inquadrandola in una coerente visione dove la nascita della Trieste moderna è posta nell'ambiente illuministico dell'epoca, nello svilupparsi del capitale in Europa, nelle direttive della monarchia assoluta. È nn lavoro originale, che si avvale d'una ricca documentazione tratta dagli archivi triestini ed elencata minutamente in fine: così l'Autore può trascurare con disinvoltura alcuni saggi del Tamaro e il recente libro su Trieste nell'età napoleonica del Quarantotti, per dirci in dieci agili capitoli le caratteristiche che distinguono i ceti, le azioni, le reazioni e gli interessi della società triestina. Tale scavo condotto a settori, piuttosto che svolto cronologicamente, spiega come possano riuscire poco chiari, al lettore non specialista, lo svilupparsi del porto che sta alla base della rinascita settecentesca della città e le oscillanti direttive dei vari monarchi austriaci e, degli organi locali di governo, Rettori, Intendenza, Consiglio.
Per quanto riguarda i ceti sociali, risulta piuttosto succinta la delineazione del vecchio patriziato cittadino, incapace di iniziative (però partì da un suo membro la prima richiesta del porto franco), decrepito e conservatore ad oltranza. Chiuso nella difesa dei suoi privilegi, esso si oppose al nuovo spirito d'intrapresa dei mercanti d'ogni genere affluiti a Trieste, gente senza ideali di cultura e priva di tradizioni, ma ben decisi ad arricchirsi e a lucrare, accaparrandosi i nuovi privilegi. I ceti popolari per contro (cui l'Apih dedicò un articolo sulla rivista Pagine Istriane, nel n. 7-8 dell'agosto-novembre 1951) erano sfruttati e disorganizzati, ma nutrivano nel fervore dei traffici speranze di elevazione, mentre ad alcune categorie di lavoratori (carradori, bottai, carpentieri) si aprivano favorevoli occasioni d'ascesa.
Naturalmente lo sviluppo triestino andò soggetto ad alti e bassi pericolosi in questa faticosa ripresa, mancando d'una mente che localmente lo dirigesse, e dipendendo invece dai programmi talvolta troppo rigidi e inadatti del centralismo asburgico. Mancava del pari una vita della cultura e dello spirito, ma ognuno si rendeva conto delle mutate fortune della città, meglio degli altri gl'ingegni più fervidi e intelligenti, come Antonio de Giuliani o l'arguto V. Majorana (cni aggiungeremo anche Giuseppe de Coletti). Tuttavia questi rappresentanti d'un patriziato in decadenza cadevano facilmente nel disdegno pel nuovo e nella considerazione degli aspetti più deteriori della novità, la babele di genti di varia origine. l'aumentata corruzione, la spietata lotta per l'esistenza.
La condanna è stata ripresa e fatta propria dagli storici di Trieste, dal Kandler al Tamaro, i quali hanno tracciato del '700 triestino un quadro fosco di avventurieri, di trafficanti senza scrupoli, di nuovi ricchi ignoranti e materialisti, dai quali venne sommerso l'antico Comune. Invece l'Api li - - muovendo da qualche suggerimento di Nino Valeri, e soprattutto da uno sforzo felice d'immedesimazione nell'epoca definisce il cosmopolitismo triestino 2<z conseguenza della nuova mentalità intraprendente e spregiudicata, la quale radunava insieme, per lavorare e godere dei frutti del lavoro, gente nuova, preoccupata soprattutto del proprio avvenire. Proclamala da Carlo VI la libertà di transito in Adriatico, Trieste da pìccolo comune medievale rinacque a nuova vita e diventò una moderna città europea. I patrizi che non seppero rinnovarsi sparirono, mentre si venne formando