Rassegna storica del Risorgimento

SALVEMINI GAETANO
anno <1959>   pagina <64>
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64 Gianni Safri
Tato-sabauda (pp. 48-49). Né il Salvemini risparmiava le sue critiche ai demo­cratici: privi di un atteggiamento politico coerente e deciso, essi non erano stati in grado di conservare i risultati ottenuti, permettendo cosi ai conservatori di impadronirsi della loro vittoria. Dopo il '48 i moderati si accostarono sempre più. al Piemonte, sentendosi così sufficientemente garantiti nei loro desideri di conservazione sociale. Il Salvemini non distingueva minimamente all'interno dei gruppi conservatori, nel cui ambito faceva pure rientrare il programma cavouriano: Nel '59 il Cavour e poi il Rattazzi non fecero se non riprendere il piano, del quale la sconfitta di Novara aveva impedito l'attuazione (p. 162). Il nuovo Stato unitario sorgeva cosi con un carattere spiccatamente conservatore, presto accentuato dal distacco dei socialisti dalla vecchia sinistra mazziniana, che entrava nell'orbita monarchica. E, dominata dalla paura del socialismo, la classe dirigente monarchica e conservatrice si avviava a subire quell'involu-zione reazionaria che avrebbe raggiunto il suo massimo nei fatti del '98.
I limiti di questa interpretazione del Salvemini si intravedono già nella scelta di Milano e delle sue vicende a oggetto del proprio studio. Milano era stata il centro della reazione del '98, e il Salvemini, lo si è visto, era mosso appunto dal desiderio di chiarire le origini di quell'episodio. Ma alla base della sua scelta stava consapevolmente un altro motivo: Le lotte amministrative milanesi - scriveva il Salvemini non sono se non episodi o meglio i prodromi delle lotte politiche italiane. Quello che oggi pensa Milano, domani lo penserà l'Italia (p. 188). Soltanto, egli aggiungeva, mentre Milano va avanti di gran corsa, l'Italia vien dietro zoppicando . Senonchè, proprio questa sorta di preminenza attribuita alla storia milanese implicava necessariamente una sostanziale sva­lutazione del problema dell'Unità, che il Cattaneo e i democratici milanesi, le cui impostazioni il Salvemini appunto riprendeva , avevano trascurato. Giustamente, mostrando il persistere della ragione dinastica in Carlo Alberto e le indecisioni della sua condotta militare e politica, egli reagiva alle falsificazioni degli scrittori moderati e sabaudi , che attribuivano il fallimento del '48 esclusivamente all'immaturità degli Italiani ad accogliere l'Unità e l'indipen­denza loro offerte dal Piemonte. Ma, lasciandosi trascinare dalla sua simpatìa per i programmi politici dei democratici milanesi, finiva col dimenticare quanto vi fosse tuttavia di municipalista e di particolarista in quei programmi, come essi fossero incapaci a farai, da milanesi, italiani.
In un punto tuttavia il Salvemini accennava a un giudizio più equo e sereno: La democrazia aveva davanti a sé un'equazione a due incognite: cacciare l'Austria e fondare la libertà. Cattaneo e Ferrari con la loro logica intransigenza non avrebbero forse ottenuto ne l'una cosa nò l'altra: Mazzini con la sua illo­gicità obbligò la monarchia per paura della repubblica a risolvere la questione dell'indipendenza, e, svincolata la prima incognita della equazione, lasciò ai suoi successori da svincolare l'altra incognita, ritornando agli insegnamenti di Ferrari e Cattaneo (p. 150).
Più tardi egli avrebbe ripreso ed approfondito questo giudizio, giungendo a una rivalutazione dell'opera politica del Cavour e della Destra.
Ma Io studio salvcminiano sui partiti politici, per quanto vi dominino in qualche punto schemi rigidi, e vi si trovino giudizi eccessivamente severi, che si possono spiegare soltanto riducendoli alle loro origini polemiche, apparve tut­tavia subito assai ricco di suggestioni e di possibili sviluppi storiografici. Quello studio scriveva .l'Anzilotti in una rassegna dal '14 , ha mosso innanzi prò-