Rassegna storica del Risorgimento

SALVEMINI GAETANO
anno <1959>   pagina <70>
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70 Gianni Sofri
appunto una svalutazione del problema dell'Unità. Tutte le idee d'uno storico* ha scritto Lucien Febvre si ricavano dalla storia : questo assioma sembra assai valido a definire la posizione del Salvemini, il quale apprese sempre molto dalle sue fonti. Il progressivo modificarsi dei suoi giudizi sul Risorgimento non corrispose soltanto all'evolversi del suo atteggiamento politico (il cui nesso con l'opera storiografica fu continuo nel Salvemini), ma anche alle diverse fonti con le quali egli venne di volta in volta in contatto. E non si può non pensare che proprio dal diretto contatto con l'opera mazziniana, testimonianza di una vita tutta dedicata al raggiungimento dell'unità nazionale, venisse al Salvemini il senso dell'importanza e della primarietà di quel problema nel moto risorgi­mentale, il che gli permise di rendere il suo giudizio storicamente più accorto e approfondito. E, di riflesso, la stessa opera del Cavour e dei moderati gli si presentò nel Mazzini in una luce ben diversa, assai più. ricca di sfumature, che non nel primo scritto.
Nel saggio sull'Ittica politica del secolo XIX, *) la storia del Risorgimento appare ormai al Salvemini come la progressiva realizzazione dell'ideale unitario del Mazzini, al quale ogni altro motivo è subordinato. Su questo piano viene rivendicata la positiva funzione storica esercitata dai moderati, le cui teorie, facendo sperare la soluzione del problema italiano senza guerre e senza rivo* luzioni, ...erano fatte a posta per contentare tutti gli spiriti timidi, che non avevano fiducia nelle cospirazioni e nei tumulti, eppure non volevano disperare dell'avvenire. Molti preti diventarono patrioti, quando la teoria giobertiana consentì loro di conciliare la fede cattolica col sentimento nazionale. Una buona parte dell'aristocrazia piemontese è stata incoraggiata ad entrare nel movimento nazionale, poiché Balbo dava la certezza che era lecito essere patrioti senza esseri; rivoluzionari, e che si poteva conciliare il sentimento nazionale con la fedeltà alla dinastia (pp. 348-349). Lo stesso giudizio su Carlo Alberto diviene ora più sfumato. Il Salvemini lo considera un mediocre e un debole (p. 351), ne critica l'indecisione e l'incapacità militare: ma siamo ormai lontani da certe intemperanze verbali del saggio del '99. Cavour è ora il realizzatore geniale (p. 357) della teoria che sostiene la necessità di fare di casa Savoia il centro propulsore del moto unitario. Né meno notevoli sono alcune pagine (p. 363 e ss.) nelle quali con grande equilibrio si accenna alle innumerevoli difficoltà che il ceto dirigente del nuovo Stato unitario si trovò a dover affrontare, dal brigantaggio al problema delle terre irredente, dalla questione romana al disa­vanzo del bilancio* Il giudizio del Salvemini su quel ceto dirigente è sostanzial­mente positivo: I governanti italiani del decennio 1860-1870, oltre che risol­vere il problema della unificazione politica nazionale, compirono un'opera ciclo­pica nella politica interna: fecero di sette eserciti un esercito solo; soffocarono il brigantaggio nell'Italia meridionale; tracciarono le prime linee della rete fer­roviaria nazionale; crearono un sistema spietato di imposte per sostenere le spese pubbliche crescenti e per pagare gl'interessi dei debiti* chiusero i conventi e confiscarono i beni del clero; rinnovarono da cima a fondo i rapporti tra lo Stato e la Chiesa (p. 367). All'accusa al Risorgimento di essere stato opera di una minoranza, si fa osservare chea la storia è fatta dalle minoranze consapevoli ed attive, le quali si rendono conto dei bisogni latenti nelle moltitudini, e vincendo
) In L'Europa del secolo XIX* Padova, 1925, pp. 325-401.