Rassegna storica del Risorgimento

BOURGIN GEORGES
anno <1959>   pagina <87>
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Libri e periodici
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Ma venuta in sospetto della polizia napoleonica (usava essa anche un linguaggio convenzionale dì cifro), dovette sospendere le sue adunanze. Fu rinnovata e ricostruita noi 1817; ma composta unicamente di cattolici laici operanti alla luce del sole, con carattere conservatore e reazionario e in istretta dipendenza dell'autorità ecclesiastica diocesana
Per suggerimento ilei conte de Maistre l'anno di poi mutò il nome in Amicizia cattoli-< a . Le riunioni avevano luogo per lo più ogni giovedì e spesso erano presiedute da membri dell'episcopato del Regno che fossero di passaggio per la capitale. 1 soci eran disposti tu tre categorìe: la prima più cospicua in digitità, era costituita dalla direzione e dall'ammini­strazione; la seconda, dai soci corrispondenti (non ve n'erano solo nel Regno sordo, ma anche fuori) e la terza, di semplici associati. Lo scopo precipuo degli Amici cattolici fu quello di contrapporre alle teorie dell'incredulità e ai disegni rivoluzionari la pubblica­zione di libri e di opuscoli contenenti dottrine religiose e politiche del tutto pure e anche scritti in stile moderno, volendo cosi, e cioè con la propaganda attraverso le letture con­trollate, potenziare la tradizione cristiana con tutti i suoi valori. Nell'ambito e con l'appog­gio morale dell'Amicizia cattolica uscì nel 1822 nn periodico con materia impastata con lo stesso fermento programmatico, che si intitolò L'Amico d'Italia e fu affidato olle cure del marchese Cesare d'Azeglio, il padre di filassimo, uomo austero e di provata coerenza di carattere, ma strettamente ligio olla Chiesa e al Re. Il periodico, che ebbe numerosi collaboratori, di tenore antiquato e mancante di dialettica vigorosa, va ricordato, sia pure di sfuggita, per i vivaci attacchi sferrati segnatamente alle novità didattiche (così, alle scuole di mutuo insegnamento) e al sorgente romanticismo, perchè troppo si discostava dalle forme cristiane tracciate dal Concilio di Trento e vantava soverchia­mente la libertà dell'ispirazione, e per la tenace difesa dei gesuiti. Non è pertanto da stu­pire se il programma dell' Associazione cattolica è quello identico dell'amico d Italia, i quali coincidevano quasi perfettamente con il programma dello scrittore francese, abbiano portato ben presto a stringere gli uomini di Torino con l'ammirato sostenitore della causa comune. Si iniziò con lui un carteggio pieno di plausi e d'incoraggiamenti (tra gli altri, del conte de Maistre, del marchese d'Azeglio, dello stesso prìncipe di Carìgnano, del mini­stro austriaco a Torino conte Lodovico Senfft), su cui, come al solito, l'A., ci dà larghe e sicure informazioni, fila accresciuta autorità e incremento notevole dettero al centro lamennesiano torinese soprattutto la visita dell'abate alla capitale nel giugno del 1824, durante la quale egli fu ospite dei conti de Maistre. Ebbe accoglienze entusiastiche. Conobbe di persona molti suoi corrispondenti e a Racconigi fu ricevuto in udienza da Carlo Alberto. Da Torino si portò ad Alessandria e di lì a Genova, ove ebbe un abboc­camento con il re Carlo Felice; e da Genova proseguì per varie città italiane.
Fece ritorno a Torino e vi si fermò un buon mese nel 1828 (di codesto secondo sog­giorno tacciono i biografi francesi e rari accenni s'incontrano nei nostri); ma per l'accen­tuato contrasto del Lamennais con la monarchia borbonica e per l'esaltazione della Chiesa di fronte al potere civile la sua venuta destò qualche sospetto all'ombroso governo, il che spiega perchè egli abbia dovuto essere rilevato a Fcncstrelle dal conte Senlft che gli era andato incontra sin lassù con la sua carrozza e se raggiunse Torino sotto la scorta delle immunità diplomatiche dell'amico accompagnatore. Il quale lo ospitò nel suo palazzo, ove il Nostro potè a tatto suo agio soddisfare il desiderio di colloqui sopra gli argomenti religiosi e politici che occupavano la sua alta meditazione e la sua attività di scrittore, poiché coltissime erano le persone che formavano la famiglia del eonte, e nei ricevimenti che lì furon dati in suo onore o presso altre caso patrizie, ove si raccolse la parte più co­spicua del mondo torinese conservatore, potè esplicare, con grandi dimostrazioni di con­senso e di ammirazione, tutta la sua eloquenza facondissima, sostanziata di religione e di amore per l'ordine sociale. Ma non poca amarezza gli deve aver cagionato l'incontro con i due più grandi pensatori uostri dell'epoca, con il Rosmini, cioè, e con il Gioberti. Dei quali il primo, serenamente, ma con fermezza, sicuro di sé, gli confutò in modo da non lasciare scampo la sua dottrina filosofica, che poneva il criterio della cortezza in cosa estra­nea all'intelletto, nei colloqui svoltesi il 13, il 11 e il 15 giugno nella stessa cosa SenlTt; e il secondo, poiché non gli fu possibile conversare con lui jn una visita tra il 15 e il 20