Rassegna storica del Risorgimento
BOURGIN GEORGES
anno
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1959
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pagina
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93
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Libri periodici 93
tra la morsa, sempre sul ponto di chiudersi, delle truppe nemiche, è resa con abilità, con immediatezza; leggendo, si prova ansia, ammirazione, desiderio di leggere oltre, por conoscere l'esito d'uno spostamento austriaco o francese, oppure d'una contromossa di Garibaldi; appare insomma quel ohe con un neologismo, forse nel nostro caso irrispettoso, ma comunque centrato, si chiama oggi suspense .
Ma il pregio maggiore dell'opera ci è sembrato consistere nell'aver saputo, L'Autore, dosare con mano felicissima le note: abbondanti, specie nella seconda parte, ed esaurienti, precise; sicché senza portare pregiudizio alcuno all'agilità della narrazione, il libro apre comodissima una strada a chi desiderasse approfondire qualche determinato argomento; anzi, invoglia a farlo, grazie anche all'attrattiva che la figura di Garibaldi ha sempre esercitato, nella sua profonda umanità che sa di mito, che s'avvicina alla leggenda.
Di solito, i grandi condottieri, i dittatori, i potentissimi, nascono stoici e muoiono epicurei, se non nelle espressioni della loro vita privata, almeno nelle manifestazioni più palesi ed evidenti d'una potenza che vuol manifestarsi e specchiarsi in se stessa, come Narciso mai sazia di contemplarsi.
Non cosi Garibaldi, cui l'ormai canonico e un pò facile paragone con Cincinnato calza come meglio altro non potrebbe.
Non è per aggiungere all'eroe nizzardo un pregio di più che si insiste nell'osservare che Garibaldi rimase sempre quell'uomo semplice che egli era, pur nella sua vita tumultuosa e disordinata.
Leggiamo, per esempio, l'episodio della morte di Anita. In quel drammatico momento doloroso, Garibaldi è uomo, solo uomo. Ha dimenticato, nella sua inconsolabile disperazione, Pltalia che lo attendeva, gli Austriaci che lo cercavano, i presenti che lo attorniavano, e tra i quali nessuno poteva affermare che non ci fosse un possibile delatore. Anche il fido Culiolo, il duro e rozzo uomo d'armi, il compagno delle guerre americane, non poteva nascondere la sua commozione; e commosso appare il Beseghi, nel colorito quadro che egli dà della scena straziante, i particolari della quale sono tratti, oltre che dall'autobiografia di Garibaldi stesso, anche dai ricordi di N. Bonnet e di altre persone contemporanee o addirittura presenti alla scena, e perfino dalle testimonianze prestate al processo contro i fratelli Bavaglia, fattori della casa nella quale Anita morì, e dalla relazione del giudice processante. Voci così varie e tanto diverse creano la rappresentazione d'un Garibaldi che non siamo abituati a conoscere, d'un Garibaldi che ama e non che combatte, anzi che non sa combattere contro quel grande dolore che l'assale, che lo vince.
E che l'amore per Anita fosse insostituibile e sincero è non solo affermato dal Beseghi e, più o meno, da tutti i biografi di Garibaldi, ma è anche indirettamente provato dalla confusa vita sentimentale, che, in seguito, portò vicino a lui l'inglese Tumula Roberts, Maria Esperanza von Schwartz, che il nizzardo chiese invano in sposa, e che gli restò amica sempre, Maria Martini della Torre, che partecipò alla spedizione dei Mille, Giuseppina Raimondi, la sposa d'un'ora, e tante altre (la duchessa di Suthcrland, la contessa Paola Pepoli, Battistina Ravello, Francesca Armosino, ecc.) delle quali nessuna offuscò il ricordo dell'eroica Anita, né seppe prenderne il posto a fianco dell'Eroe.
H rifiutarsi di percorrere il facile terreno dell'esaltazione agiografica è- altro notevole merito dell'Autore, che non esita a narrare lati poco edificanti della spedizione garibaldina da Roma verso Venezia. Egli non si sforza di far apparire i legionari come oscuri eroi; esce con decisione dal tono celebrativo tanto diffuso che vede in tutti solo il buono e sa narrare delle defezioni numerose, anche dei più in vista, come Miiller, come Buono, le quali, addizionandosi ai vuoti provocati, dalle fucilazioni di quei compagni che venivano presi dagli Austriaci (vedi, uno per tutti, l'episodio di Sant'Angelo in Vado), facevano sempre più scemare il numero dei compagni di Garibaldi; sa narrare come alcuni di questi si dimostrassero volgari avventurieri più che patrioti, tanto da costringere il generale a mantenere una ferrea disciplina, ohe arrivò due volte alla fucilazione di legionari colpevoli di aver rubato una gallina a paesani; sa narrare degli sbandati ohe percorrevano' armati le campagne compiendo violenze di ogni sorta in nome di Garibaldi, il quale doveva dar ordine alle sue pattuglie di esplorazione di disperdere tali sciagurati; sa narrare