Rassegna storica del Risorgimento

ROMANO LIBORIO
anno <1959>   pagina <164>
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164 Ruggero Moscati
esempio, alla nostra esperienza del 25 luglio o delT8 settembre non pos­sano misurarsi col metro comune, con l'orologio di tutte le ore. Vi sono figure destinate ad accompagnare le grandi svolte della storia con la loro opera politica, volta a sanare le fratture e ad assicurare l'indispensabile continuità della vita anche nei momenti di crisi e di trapasso, uomini che badano alle cose più che all'apparenza e che, servitori dello Stato, si sacrificano, senza preoccuparsi menomamente se il loro gesto neces­sario possa offuscare o meno la loro figura politico-morale.
Orbene, alla luce di tale esperienza, possiamo porci l'interrogativo: furono sfrenata ambizione di potere, ricerca spasmodica di popolarità comunque e dovunque procacciata e il conseguente doppio gioco, a costi' tuire le caratteristiche del Romano in quei momenti solenni; o non furono piuttosto, e più semplicemente, l'incalzare sempre più veloce degli avveni­menti, tanto più grandi non soltanto di lui, ma di tutto il mondo meri­dionale del 1860, il precipitare improvviso della situazione, e infine, a travolgerlo, alla comparsa in primo piano sulla scena del leggendario eroe dei Mille, un'ondata irrefrenabile d'entusiasmo?
Ad altri fu dato del tempo per decidere con un po' di ponderatezza, per maturare con calma la propria decisione; egli non ebbe a disposizione che qualche ora. E certo la personalità del Garibaldi dovè suggestionarlo, impressionarlo in modo indicibile. Prendiamo in mano le sue Memorie Politiche, e ci accorgiamo subito come la sua prosa, di solito secca, scarna, senza colore, tutta cose, si anima, vibra, diviene poesia nel descrivere la scena: e Garibaldi spettacolo sublime e indescrivibile, entrava in Napoli solo, inerme e senza alcun sospetto, tranquillo come se tornasse a casa sua, modesto come se nulla avesse fatto. Quella vista spegneva tutte le diffi­denze, rassicurava tutti i timori e faceva scoppiare tali acclamazioni e tale una frenetica gioia, da non potersi immaginare. Era la gioia di tutto un popolo, che si accalcava per vederlo, per salutarlo, per leggergli nel volto i più riposti sentimenti dell'animo, il gran segreto del suo prestigio, l'affetto suo pel popolo, l'abnegazione di se medesimo. Non era per consi­derazioni politiche, non per odio al passato, non per le speranze di un più lieto avvenire; era gioia di cessati pericoli, era l'istinto dei popolo che non si inganna e sa ricambiare con vero amore coloro che sanno amarlo e sacrificarsi per lui .
Si sente, leggendo queste ultime parole, come il vecchio Liborio, affranto dalla campagna di denigrazione che d'ogni parte si svolge contro di lui, pensi nello scriverle, oltre e più che a Garibaldi, a se stesso, al suo dramma spirituale ed a quelle forze popolari che, comparse sulla scena ed in primo piano nel momento della liberazione del Mezzogiorno, avevano sempre confidato in lui, e per le quali gli era sembrato necessario in un certo momento il sacrificio.
In definitiva fu un grande errore grande errore, è utile ripeterlo, per sé, non per il paese quello commesso da Liborio Romano rimanendo, Bonza interruzione, ministro di Garibaldi dopo avergli consegnata Napoli.