Rassegna storica del Risorgimento
ROMANO LIBORIO
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1959
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Liborio Romano
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da Cava dei Tirreni, solo, inerme era attorniato soltanto da quattordici fidi in mezzo ad ale di folla in delirio che si assiepavano lungo la strada ferrata, fu uno degli spettacoli più grandiosi ed impressionanti, che la storia del Risorgimento ricordi.
Il re Francesco II era partito, ma non seguito da tutti i reparti dell'esercito; rimanevano fra i forti e l'arsenale della città, a prescindere dai cacciatori bavaresi, in movimento tra No cera e la capitale, e in pieno assetto di guerra, ben ottomila soldati, il cui contegno era ambiguo. Basti pensare che di li a poco quei reggimenti usciranno dalla città, attraverso i garibaldini, con le bandiere al vento e al suono dei tamburi per andare a raggiungere il loro re !
Non chiari ancora il 7 settembre, quindi, i propositi e gli ordini delle truppe: naturale perciò che, oltre che dall'entusiasmo per l'attesa del dittatore, gli animi fossero sospesi, invasi dal timore del bombardamento della città, del saccheggio del popolo: tutte le speranze erano quindi in quella polizia eccezionalmente creata da don Liborio che, organizzando la camorra, aveva fatto nascere l'ordine dal disordine e in quella guardia nazionale che, anch'essa organizzata dal Romano, si era resa veramente benemerita dell'ordine pubblico. Bisognava ora a tutti i costi evitare i pericoli di una lotta civile, operare un regolare e pacifico trapasso dei poteri, far sì che la grande trasformazione avvenisse senza eccidi e senza scosse troppo violente; che anche la fantasia più fervida non riuscirebbe ad immaginare che cosa sarebbe potuto accadere in una città come Napoli, se il re avesse dato ordine ai castelli di difendersi, avendo dalla sua la guarnigione, gran parte del popolo di S. Lucia, e le influenze del clero e del partito reazionario. Dall'altra parte, mentre l'esercito garibaldino, sparpagliato in Calabria, faticosamente marciava verso la capitale, non ci sarebbero stati appunto che i reparti di polizia e i dodici battaglioni, non bene armati, della guardia nazionale, con tanti sforzi messi insieme da don Liborio.
Insomma, in quello speciale clima, fu non solo possibile, ma doveroso l'atteggiamento del Romano. Se alcuni come Pianell o Manna si trovarono in condizione di poter fare il gesto doveroso di trarsi in disparte nel primo momento del passaggio, Romano si trovò, per ragione della specialità del suo ufficio, nella impossibilità di ritrarsi senza lasciare il paese in preda all'anarchia, mentre non poteva contrastare l'avvento dell'unità, cosa che sarebbe stata difforme dalle convinzioni a cui l'avevano portato la sua coscienza e il suo stato d'animo. Del resto, anche a Francesco H sulla via di Gaeta, egli non aveva taciuto sin dal 20 agosto le sue convinzioni né doveva aver troppo nascosta la sua decisione di aderire alla rivoluzione se don Libò guardatene o' cuotto sembra fosse l'ultimo saluto del sovrano. L'appartarsi per lui avrebbe avuto, più che per altri, di fronte al popolo napoletano, l'aspetto di una vera e propria fuga. E la storia può ormai far suo decisamente il giudizio, sinora inedito, che su quel gesto diede un contemporaneo come Giuseppe Ricciardi, il quale, dopo aver accennato