Rassegna storica del Risorgimento
ROMANO LIBORIO
anno
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1959
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pagina
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Liborio Romano
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Parimenti il Romano, nei tre brevi perìodi di permanenza al ministero, delineava tutto un programma di opere pubbliche, che avrebbe dovuto, nel suo intento, dar lavoro e pane a vastissime categorie operaie e contadine per agganciarle all'ordine nuovo. Nella sua concretezza e nel suo vivo senso della realtà, il Romano comprendeva infatti che l'entusiastica partecipazione delle forze popolari alla liberazione del Mezzogiorno era dovuta non solo e non tanto a ragioni politiche, ma all'aspettativa di un miglioramento sociale.
La situazione economica si aggravava invece nel '60, e non tardava a diffondersi un senso di delusione e di sconforto in vastissimi strati: e il Romano fu il primo a comprendere come lo stesso fenomeno del brigantaggio non fosse una espressione di delinquenza comune, o una manifestazione di devozione ai Borboni, ma un movimento anche e sovrattutto a carattere sociale* Egli si battè, nei consigli della luogotenenza, nel memorandum al Cavour, nelle interpellanze al parlamento, per indicare alcuni rimedi, senza dubbio parziali, ma nella giusta direzione. Quel movimento si affanna a ripetere poteva essere facilmente sedato, oltre che con misure di polizia, con riforme di carattere agrario e con vaste provvidenze sociali. Ed egli si batte invano per un programma di lavori pubblici, destinato sovrattutto a costruzioni di strade, per la somma di centinaia di milioni, da spendersi al doppio scopo sono ancora parole sue di dar pane e lavoro al popolo ed aumentare il reddito del paese. Ma la sua azione urta contro l'opposizione non del Cavour, che forse sarebbe stato disposto a comprenderlo, ma dei suoi luogotenenti ed epigoni, e sovrattutto contro gli esuli meridionali ritornati in patria, dopo lunghi anni, senza un quadro chiaro della situazione psicologicopolitica, più che politica, del Mezzogiorno d'Italia, del clima che si era determinato nel Mezzogiorno e decisi a risolvere in tutta fretta il problema dell'assorbimento dell'ex regno delle due Sicilie nel nuovo Stato italiano; a stroncare con la forza ogni resistenza all'unitarismo centralistico. Era il cozzo di due opposte mentalità: da un lato gli esuli, i puri, i consorti , politici forse un pò troppo libreschi ed astratti che, in realtà, si erano completamente estraniati dal mondo meridionale e, abituati a respirare in un aere più. largo, paghi e orgogliosi di aver legato Napoli all'Italia, mostravano di sdegnare le forme stesse di vita del Mezzogiorno, considerando ogni manifestazione ed ogni residuo di autonomia come una forza centrifuga che potesse mettere in pericolo ed ostacolare il progresso dell'Italia nuova. D'altro lato, la massa sempre più numerosa degli scontenti che, giunti all'idea unitaria in ritardo, molto in ritardo, nell'entusiasmo garibaldino del '60 avevano quasi sperato di poter assistere al miracolo di un paese redento, operoso, rasserenato, e si trovavano ora di fronte alla dura realtà dell'astratta uniformità legislativa, imposta da Torino, e della rigidezza dei suoi ordinamenti.
Nel collegio di Tricase il Romano si batteva contro Giuseppe Pisane!!!. In quella lotta si scontravano non solo due diverse concezioni o diverse valutazioni dei bisogni e delle necessità locali, ma proprio i due opposti