Rassegna storica del Risorgimento

ROMANO LIBORIO
anno <1959>   pagina <172>
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172 Ruggero Moscati
punti di v ista cui si è accennato. Da un lato, l'unitario ad oltranza che tor­nava dall'esilio piemontese, e dall'altro, l'uomo, come Liborio Romano, legato tradizionalmente al Mezzogiorno, che non sa concepire altre forme di vita che non quelle meridionali.
Il contrasto non fu senza influenza nello spingere il Romano su una linea di sinistra , di opposizione sempre più decisa. II non aver compreso la gravità delle condizioni economico-sociali del Mezzogiorno, l'essersi opposto alla erogazione dei fondi necessari ad un piano di opere pubbliche, l'aver disciolto, nonché l'esercito garibaldino, quello borbonico, dando così incremento alla reazione ed al brigantaggio e, soprattutto, l'aver imposto frettolosamente al Mezzogiorno sistemi doganali, tariffe daziarie e tutto un complesso di leggi che apparivano tipicamente sarde ed estranee alla tradizione giuridico-amministrativa del Mezzogiorno, facevano del Romano un oppositore tenace della linea governativa, uno dei primi interpreti (è un punto questo che andrebbe maggiormente approfondito) di quelle esigenze non poco confuse e contraddittorie fatte di insofferenza, di delu­sione, di disagio, di aspettativa, che poi sfoceranno nella grandissima par­tecipazione del Mezzogiorno alla opposizione di sinistra. Nel lungo memo­randum al Cavour, del luglio '61, nella sua interpellanza sulle condizioni dell'Italia Meridionale tenuta al parlamento italiano, in aperto contrad­dittorio con Giuseppe Massari, e in tutti i suoi interventi, con una eleganza fatta non di mezzi oratori ma di cose , il Romano precisa giudizi, espone fatti, cita cifre , sottoponendo al suo vaglio punto per punto i sistemi tenuti dal governo nei riguardi della popolazione meridionale. Egli sentiva, in fondo, di interpretare così, se non la parte più eletta, certo la parte maggiore del Mezzogiorno d'Italia, del popolo meridionale con le sue virtù, ed i suoi vizi, con le sue ombre e le sue luci; quel vecchio regno delle due Sicilie, pronto sì a sacrificarsi per l'unità in uno slancio d'entu­siasmo generoso, ma riluttante a divenire una provincia dello Stato sardo; quel Mezzogiorno che, nel travaglio profondo della crisi unitaria, consta­tava come i suoi miraggi di una floridezza economica si risolvessero, almeno per il momento, nella realtà di un impoverimento. Quel Mezzogiorno, infine, che con le sue tradizioni, la sua personalità storicogiuridica, con le sue stesse manchevolezze, aveva sperato di entrare a far parte da pari a pari, e in accordo di intenti, con le altre regioni d'Italia nella grande patria comune, ed ora sospettava di essere trattato come una terra di conquista.
Nella sua visione di uomo di parte, il Romano non si accorgeva delle esagerazioni e della profonda ingiustizia di una simile requisitoria. Uomo del suo tempo egli non poteva comprendere come la linea progressiva della storia è data assai spesso dalla conciliazione e dal superamento degli opposti. Egli, per di più non al corrente della posizione diplomatica del nuovo Stato non poteva soprattutto rendersi conto della necessità dell'azione piemontese e non poteva riuscire a comprendere come, in quel momento, lavorassero per lo stesso progresso del Mezzogiorno più quegli uomini che, costasse quel che costasse, e sia pure con la politica di forza e