Rassegna storica del Risorgimento

DUE SICILIE (REGNO DELLE) ; ROSSETTI GABRIELE ; MOTI 1821
anno <1959>   pagina <425>
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Un opuscolo anonimo del 1820-21 425
remo per la causa della libertà, risoluti di contrastare ogni palmo di questo terreno, che non sarà più inafnato dai nostri sudori per alimentar chi ci opprime; ma dal sangue di chi tenta opprimerci*
Ma bisogna pur convenire ohe, malgrado ciò, il nostro destino non ò ancora sicuro, e può ben tosto cambiar di aspetto. La nostra sorte è chiusa nell'urna fatale che si agita in Trupau, e l'Europa ansante attende che ne sia tratta. Sia ben lontano l'augurio; ma in un momento lo stato difensivo del nemico può cambiarsi in moto offensivo. Che faremo noi prima che giunga un tal punto? Gli adoratori della libertà sarebbero forse meno attivi e men accorti degli amanti del dispoti­smo? Già un turbine gravido di procelle si è affacciato alla cima delle Alpi, e getta sulla santa terra d'Italia un'ombra nera e muta: aspetteremo scioperati che ci (p. 24) arrivi sul capo e scopi! (sic)? Ne mirammo i primi lampi, i primi tuoni ne udimmo... vorremmo forse accorrere, quando i fulmini ci avranno inceneriti? All'ormi, o cittadini, all'armi. Già l'angelo della libertà col vessillo tricolore in una mono e la spada nuda nel­l'altra va correndo di provincia in provincia chiamandovi alla difesa di quei diritti, onde Iddio ha distinto l'uomo del (sic) bruto. Rimanga vii bruto chi vuole, ohe noi slam fatti per essere uomini. Accorriamo a folla sotto l'ombra di quel sacro stendardo, stringiamoci in battaglioni, e presentiamoci alla comune difesa. Chi vuol che il nemico abbia la spada nel fodero dicea il gran Federico, Vabbia egli nuda nel pugno.
Deh, non facciamo illuderci. Sembra che in questo momento i moti ostili dell'avver­sario sien sospesi; ma ciò potrebbe tendere ad addormentare la nostra vigilanza. Ei già sa quale effervescenza serpeggia per le nostre vene; sa che in quésto momento l'amor di patria è in noi l'irresistibile bisogno del cuore, è l'alternativa decisa fra la morte e la libertà; sa che la febbre della ragione, ornai epidemica, in Europa, è nel suo (p. 25) infiammatorio aumento in noi, e se in vece di lenitivi ci daranno eccitanti, potrebbe andare al più deciso delirio; sa che un solo Spartano vai dieci Iloti: e quindi spera, ch'evi­tando questo primo nostro bollore, ci troverà sfiniti alla stessa nostra fèbbre, illanguiditi dal nostro medesimo: in somma tenta stancarci per poi assalirci, onde farci trovar fra le catene, allora appunto che siam più sicuri della libertà. Cittadini, vigilanza e costanza. Quei giornali medesimi da lui pria convertiti in libelli, quelli che ora cercano alimentar in noi una qualche speranza di pace, potrebbero esser indizio di guerra, ed è forse l'arma più maligna della sua frode: voi già sapete qual conto bisogna tenere di simili assertive. Qualunque disposizione egli infinga, qualunque voce faccia buccinare, ricordiamoci di temer i Danai, anche quando arrecano i doni. Non deponiamo mai l'ormi, finché dal Danubio al Sebeto non veggiam curvarsi fulgidissima e solenne, innanzi a tutta la terra spettatrice, l'Iride della pace. Allora soltanto sotto quell'arco getteremo le armi, ci stringeremo le destre di confederazione e intoneremo l'inno (p. 26) délTamicizia. Altrimenti... in tale stato noi siamo, che tocca a lui temerci, e non a noi paventarlo.
Tutta l'Europa tien gli occhi su di noi; non tradiamo la sua aspettativa con tradir noi medesimi. Se gli annali de' nostri avi non son mendaci, non vi è stato mai un punto più prospero per gli abitanti di questa bella ed infelice regione. Quasi estranei nella terra in cui nascemmo, ignorevamo poc'anzi le nostre forze medesime; e non indovinevamo ciò che avremmo potuto essere, che nello riflessione di quel che fummo. La stessa gloria di quei nostri padri, i quali in pace ed in guerra dietro il volo delle aquile tiberine scendevano dalla balza tarpea a passeggiare la terra per regolarne i destini, non era per noi che l'umi­liazione del confronto. Ogni pietra ch'emergevo dal seno di questo classico suolo era un rimprovero per noi. Costretti a trascinar mutamente le catene che ci vennero quasi a grazia dispensate do straniere o da cittadine mani, fu per noi la libertà un bene di puro fede, come quello della vita futura. Lo stessa libertà del 99 non era che un fantasma di libertà, perchè giunta (p. 27) in questa terra Era le spade de' vincitori: e noi felici, anche in mezzo a quel disastro, che non avemmo neppur tempo di vederla cangiare in servitù: libertà donato fa il liberto e non l'ingenuo} e il liberto è poco più che il servo. Ma questa che col nostro sudore ci conquistammo, questa è vera libertà, bella come la virtù che la produsse: libertà, che imposta la corona sul berretto, e stesa una mono al Popolo