Rassegna storica del Risorgimento

DUE SICILIE (REGNO DELLE) ; ROSSETTI GABRIELE ; MOTI 1821
anno <1959>   pagina <426>
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Pompeo Giannantonio
e 1 altra al Monarca, maritò con eterno coniugio la maestà del Monarca con quella del Po­polo; talché ne risulta una maestà sola ed indivisibile. Ed ora che la locammo nell'arca della Patria; ora che gustammo il piacere di averle bruciati i primi incensi, soffriremo che la mano insanguinata dèi Dispotismo la rovesci, e che il suo pie di ferro la calpesti sotto i nostri sguardi? soffriremo che tutta la gloria di cui ci siam coperti si converta in ignomi­nia, e che quei plausi che ancor ci suonano intorno da ogni angolo del mondo si cangino in fischi derisori? Vorrem che si dicache i nostri nemici sian riusciti a spaventarci con vane mi­nacce? Rendiamo piuttosto proficue quelle minacce con prenderle per avvertimenti (p. 28); e costringiamo fin l'odio altrui a fruttarci un bene; Sinora abbiam meritato il titolo di virtuosi e moderati, ringraziamo coloro che vengono a farci acquistar anche quello di bellicosi e di forti: giungemmo a farci ammirare, è tempo ornai di farci ancor rispettare. Noi non dobbiamo deporre le armi, si pel male che potremmo ricevere, che pel bene che perder potremmo. E qual lusinga ce le toglierebbe dal pugno? Quella forse che il grave delitto di aver voluto esser liberi ci fosse perdonato da chi lo riguarda come supe­riore al parricidio? Che volessero i nostri aggressori imitare il nostro buon Re, che nel 1815 ritornò tra i figli suoi, per obbliarne i falli e rammentarne i soli meriti? Stolti, se il crediamo? Altro è spargere il sangue de1 figli, altro è spargere quello de' nemici. Il capestro e il carcere, l'ignominia e la miseria verrebbero a disingannarci, quando il disinganno sarebbe senza profitto. Questa diverrebbe la terra delle vedove e degli orfani: e la più florida parte d'Italia, la più squallida e desolata. Interrogate i Lombardi e i Veneti se volete rifuggire da così orrendo futuro. Or se quegl'infelici (p. 29) che han versato, e versano tuttora delle mute lagrime su le lor ritorte, se quelli che affogano anche i sospiri nel fondo di un cuor lacerato, son ridotti a tale, che invidiavano noi, anche prima che uscissimo dal duro servaggio; che ne sarebbe ora di noi tutti, che siam rei di due misfatti segnati alla prima pagina del libro nero della Tirannide, quello cioè di aver osato di sentirci uomini, e di aver con l'esempio nostro persuaso agli altri, che non sono giumenti? La parola Costituzione agli orecchi oligarchici è una mala parola, peggior della relegazione, da non espiarsi che con la morte. Essi vorrebbero a nostro costo dare uno spettacolo di sangue all'Europa, come noi il demmo di virtù, acciocché coloro che son calpestati non osassero in appresso morder le caleagne di quei che li calpestano; ed acciochè la divisione già fatta della nostra specie rimanesse sempre più fissa in uominir-agnelli ed uominilupi. (p. 30)
[Nella libertà il regno fiorirà e prospererà, perciò bisogna saper reagire alla Oligar­chia straniera come si è saputo reagire a quella interna].
Distruggemmo il dispotismo, ed or permetteremo che i despoti ci distruggano? Che avessimo una momentanea sovranità, per soffrir poi una schiavitù eterna? Ah no, per Dio: All'armi, all'armi: non c'imponga uno strepitoso apparato ed un gran numero; se vi son Darii (p. 35), vi son pure Alessandri ed Ha gli Alessandri suoi Napoli ancora. Cittadini opulenti, offrite ora volontariamente alla libertà che prega ciò che altri­menti vi strapperebbe la tirannide che comanda. Aprite ora le vostre arche custodite, per darne una parte a chi vuol conservarvi gl'invidiabili vostri diritti, prima che tutta ve la involùi coloro che si preparano a calpestarli. Entrate in una gara ch'è di comun profitto; e non vi spiaccia sacrificare un poco d'oro, mentre altri sacrificheranno molto sangue. Cittadini coraggiosi, mano ai fucili, e teniamoci in guardia. Noi dobbiamo rimanere in tale attitudine, come se in questo momento istesso dovessimo essere attaccati; polche da un istante all'altro può uscir dal Congresso il grido di guerra. Ripetiamo a coro dal Tronto al Lilibeo, dal Tirreno all'Adriatico le parole stesso che il nostro buon Monarca ha ultimarne ite espresse al geloso nemico : Risoluti a difendere sino all'ultima estre­mità l'indipendenza della nostra nazione, e la costituzione che n'ò il palladio, siam pronti più tosto a seppellirci eotto le mine della patria, che a piegare il collo (p. 36) al giogo straniero , ') Che vengan pure, se l'osano; cosi potremo espiare col sangue loro
*) Vedi il termine della lunga dignitosa nota che il nostro Re ha fatto inviare alla corte austriaca per mezzo del nostro ministro degli affari esteri.