Rassegna storica del Risorgimento

DUE SICILIE (REGNO DELLE) ; ROSSETTI GABRIELE ; MOTI 1821
anno <1959>   pagina <427>
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Un opuscolo anonimo del 1820-21 427
il nostro delitto; il delitto di avere voluto essere infelici al modo nostro, e non beati alla loro maniera; di aver voluto esser regolati come uomini, e non come stupidi bestiami. Appajano pure i Sersi, che se non ci riuscirà di esser Temistocli, nessuno potrà toglierei di esser Leonidi. Si mostri pure il nuovo Brenno, che saranno tanti i Camilli quanti sono i cittadini.
Non ci spaventi la storia troppo sciagurata delle nostre ultime guerre. Mal ravviseremo noi stessi nel quadro de1 passati cimenti, da cui ogni occhio cittadino si ritorce vergognando; quadro che ci presenta la nostra milizia ceder quasi sempre al primo aggressore. I passati tempi non deggiono in nulla paragonarsi al pre­sente. Noi eravamo allora altri Uomini da quelli che or siamo; eravamo (p. 37) quali appunto or sono i nostri nemici. Ognun di noi domandava allora a se stesso: io per citi combatto? La mia sorte presente è tale, che comunque si cangi sempre sarà migliore. E quindi il primo che gli si faceva incontro promettendogli un men tristo futuro, presentava quasi incruenta la spada. Ma ora quel futuro metteremo in confronto al nostro presente, che non sia una notte nera in faccia ad un giorno fulgidissimo? Qual antitesi! Sovranità e servitù, opulenza e miseria, felicità e sventura, gloria ed ignominia, nazione e gregge!... Chi esiterebbe un istante a scegliere?
Mal si apporrebbe chi volesse giudicarci dal passato. Il vocabolo patria fu per noi sinora un vocabolo voto di senso, o altro almen non sonava che una serie di servili abitu­ami che ci attaccavano al suolo che ci die cuna. I despoti lo facevano rimbombar con solen­nità ai nostri orecchi, sol quando avean bisogno del nostro braccio. Difendete la vostra patria ci disser essi talvolta: ma in sostanza volean dire: fate che io, e non altri, segua a comandarvi arbitrariamente; che io, e non altri, possa disporre a mio grado di voi (p. 38), de* vostri figli, delle vostre sostanze; che io, e non altri, sia il padrone di voi tutti, i quali o sotto me, o sotto altri sempre dovete esser servi. Qual patria era questa! Eppure una illusoria voce bastava ad empirci di gioja e di entusiasmo. Ma ora sapete voi che vuol dir patria? Sì che il sapete, poiché mostrate di amarla più assai della vita. Essa raccoglie quanto vi è di più sacro, di più grande, di più soave in terra. Tutt'i vincoli della società e del sangue, tutt'i dritti di uomo e di cittadino, tutti in essa si comprendono. Vi è cara la vostra persona, ed amate che sia inviolabile? Bramate Uberi i vostri figli, rispettata la vostra sposa, sicuri i vostri genitori? Volete che le vostre sostanze sien vostre, che prosperi­no le vostre industrie, senza che altri ve ne involi il miglior frutto? Che i vostri talenti sien premiati, le vostre fatiche non defraudate? Amate finalmente i vostri parenti, i vostri amici, i vostri usi, le vostre opinioni, il vostro linguaggio, e quanto ha o possa aver rapporto con voi? Ebbene, tutto ciò è patria. E chi non vorrà morir mille (p. 39) volte piuttosto che lasciarsi rapir tutto ciò? E qual maraviglia che l'uomo Ubero sia infinitamente più forte, più coraggioso e più deciso dcll'uom servo, mentre il primo difende il cumulo di tutt'i suoi beni esistenti e possibili contro il secondo che pugnando sente di non far altro che perpetuare i propri mali, sostenendo colui che li cagiona? Qual maraviglia che pochi Uberi Greci abbian distrutta la innumerevole moltitudine de' servi Persiani; che una mano di Svizzeri abbia sbaragliate le armate tedesche, che gli Americani abbian disfatti gl'Inglesi, che la Francia abbia sostenuto l'urto dell'Europa tutta?... Qual maraviglia che noi vinceremo chiunque volesse venire a contrastarci una patria che noi abbiamo, e ch'egli non avendola vorrebbe avete? Oso dire esser quasi impossibile che un popolo Ubero rimanga vinto da un popolo servo; cioà che chi difende quanto ha di più caro sia superato da chi è spinto suo malgrado ad involarglielo, non per farne acqui­sto per sé, ma per farne dono a quello stesso che lo ha involato anche a lui (p. 40).
[Difendere la patria per questi ideali è bello. Sul campo di battaglia il combattente sentirà il grido dei figli, dei genitori, delle spose, dei fratelli, degli amici ecc. che vogUono essere difesi; La nostra terra è naturaknente in posizione tale da poter essere ben difesa. In questa terra combatta Spartaco, Annibale, i Calabresi contro i Francesi].
Una nazione intiera, nobilmente indignata all'idea di un'aggressione che offende tutta l'umanità; una nazione che nel senso recente di una libertà acquistata, e nella tresca memoria di una servitù repulsa, odia più la servitù che la morte, ama più la libertà