Rassegna storica del Risorgimento
NATALI GIOVANNI
anno
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1959
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pagina
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461
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Libri e periodici 461
H V. deliberatam ente non entra nel vivo della polemica teologica, sviluppatasi anche in Italia, intorno alla Grazia, ma sottolinea L'importanza dell'apporto diretto francese, a cominciare dalla diffusione nella penisola di ogni genere di scritti giansenisti, richéristi e gallicani. Su questa diffusione e sui suoi veicoli egli ci dà particolari molto interessanti, che confermano e completano quanto già se ne conosceva dai carteggi curati dal Codignola e da quelli mediti dell'archivio di Scipione de' Ricci. II quadro che ne risulta è veramente impressionante e dimostra a qual punto giungesse quella infatuazione per gli scritti dei teologi francesi, che facevano dire al Ricci (in una lettera al Clément del 15 dicembre 1788) che la lumière que le Seigneur se daigne répandre sur nons vient de Franca.
Precisata (anche attraverso sorprendenti dati numerici del traffico dà libri) questa dominante influenza francese sulle correnti riformistiche italiane avanti il 1789, il V. passa a trattare delle reazioni di esse di fronte alla rivoluzione e, in particolare, di fronte alla costituzione civile del clero, mostrando i diversi atteggiamenti e l'evoluzione, che sospinge un sempre maggior numero di giansenisti italiani ad aderirvi, con vario spirito, come già lo stesso V. aveva sottolineato nel suo studio su Les junsénistes itallens et la con-stìtution civile dtt clergé (in Revue historique, a. LXXY (1951), t. CCV, pp. 243259). Tra i documenti citati per questo periodo vi sono alcune lettere di comunione di giansenisti italiani con la Chiesa costituzionale di Francia tratte dal carteggio inedito dei corrispondenti del Grégoire conservato nella Biblioteca degli amici di Port-Royal a Parigi. Quanto si asserisce più oltre sull'apporto dei giansenisti alle repubbliche italiane del triennio giacobino non si distacca molto dal quadro tradizionale; si vorrebbe, se mai veder tenuti in maggior considerazione anche quei gruppi di cattolici democratici non giansenisti, ai quali alenai studiosi italiani hanno più recentemente rivolto la loro attenzione. Meno convincente appare il successivo capitolo sulle sopravvivenze gallicano-giansenistc nell'episcopato e nel clero italiano durante il Consolato e l'Impero, poiché, se il canonico Marentini afferma nel 1811 più gallicana la Chiesa d'Italia di quel che fosse la francese medesima (p. 91) e se il Grégoire scrive nello stesso anno al Degola che En general, Uva plus de lumières panni les eveques au delà des Alpes, qu'en deca; car chez les Italiens on voit plus de défenseurs des quatre artìcles del 1682 que panni les Francais (p. 92), è vero che la resistenza della stragrande maggioranza della gerarchia e del clero italiano alla politica religiosa di Napoleone acquista in quello stesso tempo una sempre più marcata intransigenza.
Quanto poi alle considerazioni finali sulla evoluzione degli ambienti giansenisteg-gianti della penisola verso il liberalismo, nelle quali sembrano accolte senza riserva le tesi estreme del Rota, il lettore italiano seguirà il V. con maggiore cautela. E, in primo luogo, scaltrito oramai dai diuturni moniti del Codignola, egli avvertirà un accresciuto disagio, più di quanto non ne abbia provato nelle pagine precedenti, nel vedere accomunati ai giansenisti e ai loro amici altri che con l'eresia di Port-Royal non hanno avuto altro contatto che l'occasionale incontro con dei maestri, che ne erano intinti, o addirittura nemmen questo, anche se si trovano d'accordo nel dir male della Curia romana e dei Gesuiti e nel vagheggiare una qualche riforma ecclesiastica, da Maria Mazzini ad Ugo Bassi, Raffaello Lambrusehini, Bettino Ricasoli, Gino Capponi... Non si vuoi dire, certamente, che il V. non abbia ben chiare le necessarie distinzioni, polche egli, anzi, a mettere in guardia dalle possibili confusioni, cita una lettera di mona. Campodonico al card. Lambnischi! (ce Quando dico giansenisti, non intèndo parlar di gente che professino espressamente le dottrine condannate in Giansenio e compagnia; la maggior parte dì costoro ignorano pienamente quelle dottrine, né curano punto di saperlo. Ma per giansenisti intendo quelli che covano odio contro l'autorità della Chiosa e massime della Sede Apostolica, e poi di rimbalzo insidiano all'autorità de* sovrani, fra i quali e il pontefice tentano di tener sempre accesa. Benché occulta, la diffidenza , p. Ili), ma, ripeto, il lettore italiano vorrebbe, sia pure nelle rapide pagine finali, setacciata meglio la vera farina di gallicanesimo, di giansenismo e di febronianismo (per citare ancoro parole dello stesso Campodonico) presente ancora tra le diverse componenti del problema religioso del Risorgimento italiano. Più giustamente il V* accenna al passaggio dell'influenza francese dal piano reli-