Rassegna storica del Risorgimento
NATALI GIOVANNI
anno
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1959
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pagina
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465
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Libri e periodici
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l'opera di livellamento giuridico-politico già iniziato al tempo del Caracciolo pei dar modo alla classe indigente di divenire essa pure proprietaria, aveva maggiormente contribuito ad accrescerne la miseria, perche, in forza della ricordata costituzione, tutte le proprietà, diritti e pertinenze in avanti feudali cran rimasti in proprietà allodiale presso ciascun possessore, sicché, sciolti i feudi da ogni vincolo di dipendenze dalla Corona, si era creata una classe di proprietari di vaste tenute resi del tutto liberi; e, per giunta, accanto ad essa, era sorta una nuova classe non meno arrogante ed ingorda, quella cioè dei gabellotti, che si erano man mano arricchiti prendendo a conduzione i latifondi dei nobili e andavano acquistando terre per proprio conto senza però apportarvi nessun criterio moderno e razionale, ma sfruttando la mano d'opera del numeroso bracciantato agricolo, costretto a campare di un incerto lavoro giornaliero e ad accontentarsi, per non morir di rame, di guadagni modestissimi, non potendo né con l'intelligenza né con l'industria migliorare la sua triste sorte. Pertanto, alla vigilia dell'unificazione, tale era ancora la situazione (come afferma l'A.) in ogni comune rurale, segnatamente nei più internati e più lontani dalle coste: in alto, poche famiglie privilegiate, sempre in concorrenza e in contrasto tra di loro per avere sul paese il predominio assoluto, economico e morale; e in basso, una massa proletaria indiscriminata, a quelle legata strettamente per interesse e per servile abitudine; sicché il tono della vita continuava ad assumervi un carattere del tutto patriarcale. Si ha da ritenere pertanto (almeno così è il mio avviso), che o nulla o ben modesta sia stata ivi la partecipazione del popolo ai moti di riscossa svoltisi nell'Isola sino allo sbarco di Garibaldi, mentre larga, se non vistosa, come sostiene alcuno (e sa questo particolare abbisognamo tuttora di spassionate ricerche), fu quella dei centri cittadini maggiori, o dei costieri o più vicini alle coste, sotto la guida di artigiani o di borghesi o di nobili antiborbonici (tra gl'insorti, per altro, numerosi cran pure gli sbandati, i briganti, gli evasi dalle galere), ma (e ciò mi preme mettere in rilievo perchè sol di sfuggita ne tratta l'A.) disordinata e senza collegamenti e senza intese e senza alcun altro specifico movente che non fosse il gravame insopportabile delle imposte, perchè allora ancora mancava nelle masse la coscienza di un compito rivoluzionario: il che comprova l'astrattezza della recente dottrina, che si basa sui confronti conia politica giacobina francese, della possibilità verso il '60 di un generale sollevamento in Sicilia per il rovesciamento dei residui feudali nelle campagne; e dottrina ancor più assurda se si considera che l'alleanza, all'uopo, della borghesia con il proletariato avrebbe senz'altro travolto di quella le fortune che si erano formate per l'appunto alle spese delle classi più diseredate. E in effetto, non appena, dopo il fatto di Bronte, si sparse la notizia che altri più estesi disordini si stavano preparando (ma le voci erano probabilmente in parte esagerate) con nuove occupazioni di terre demaniali, quegli stessi borghesi che avevano guidati imoti del '48 e del '60 si vennero orientando in tutta fretta con la corrente liberale moderata, che, amante dell'ordine, non vedeva altra salvezza se non nell'appoggio del governo farle di Torino, spaventata' essa pure di perdere, con una eventuale vittoria dei popolari, le proprie posizioni. Sicché fu facile convogliare (e allo scopo da più mesi lavorava assiduamente il La Farina) l'opinione pubblica siciliana verso una sollecita annessione al Piemonte: annessione che incontrò lì per 11 un larghissimo consenso (il plebiscito del 21 ottobre diede 432053 voti favorevoli e 667 contrari), ma che era basata su di un equivoco, di cui ai deve tener massimo conto per comprendere l'ulteriore svolgimento degli eventi* E cioè, mentre la classe moderata, che era la più influente, non intendeva affatto, dando il proprio voto, di rinunciare a forme di amministrazione decentrata, Cavour, del tutto ignaro delle vere condizioni economiche e morali dell'Isola (anch'egli nutriva la piena certezza della sua invidiabile fertilità), ingannato, per giunta, dalle infatuazioni del La Farina, non ebbe mai il menomo dubbio circa le tendenze deliberatamente annessionistiche della Sicilia e che essa volesse realmente l'annessione incondizionata. Anzi, ero persuaso, in buona fede, che, rimandando ad un secondo tempo ogni provvedimento di secondaria importanza, fosse suo primo preciso dovere occuparsi essenzialmente o quasi di polizia per combattere i fautori del disordine e del riordinamento deU'amnùnis trazione, ma senza sostanziali mutamenti (poiché, a suo parere, le leggi emanate dal governo bor-