Rassegna storica del Risorgimento

NATALI GIOVANNI
anno <1959>   pagina <467>
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labri e periodici 467
della moneta, ma, particolarmente, la legge sulle corporazioni religiose: cause sulle quali, per necessaria brevità, non è consentito a noi soffermarci, ma che son esaminate dall'A. attentamente in lunghe pagine, tra le più pregnanti e felici di tutto il volume. L'urto tra le due fazioni ebbe il doloroso epilogo nella rivolta palermitana del settembre del '66, che non fu accidentale, come apparve alla cecità del governo, ma fu il risultato di una preparazione di lunga mano, poiché si svolse non solo nella città ma in tutta la provincia, con gli identici metodi e con la partecipazione degli stessi elementi (operai, artigiani, esponenti autonomistici e borbonici e, frammisti, uomini oscuri) e con l'evidente inten­dimento di agire non solo contro il governo, ma pure contro la classe borghese che aveva dato sino allora al governo l'appoggio incondizionato.
La sanguinosa insurrezione del '66 ha nella storia del primo ventennio dall'annes­sione una rilevante importanza, perchè da allora, anche se la mafia e il malandrinaggio gettarono spesso sull'Isola ombre deleterie, si andò per altro estendendo sin nelle più lontane contrade, sia pure faticosamente, lo spirito associativo e si venne formando, anche negli strati più umili, una più matura coscienza di classe; il che fu dovuto soprat­tutto alla azione diretta della sinistra repubblicana e al socialismo, ma anche, in parte, indirettamente, (come ampiamente dimostra l'A.) al governo, che finalmente si avvide, benché in ritardo, che la Sicilia non doveva essere trattata con gli arresti e le fucilate, ma doveva esser redenta con provvedimenti dettati da una più concreta comprensione dei suoi reali bisogni. Non è, sia ben inteso, che si siano risolti con la dovuta sveltezza i problemi più. Inerenti alla vita del paese (ci vorranno anni ancora per arrivare a ciò!); anzi, per un certo periodo (e l'A. come, di solito, ce ne dà prove sicure) si lesero più acute le ragioni di contrasto tra i ceti; ma, almeno nei cinque anni dell'amministrazione tenuta con attività alacre e intelligente dal generale Medici (cui però più volte fu negato o fu concesso con estrema lentezza quel che egli chiedeva con dura insistenza), specialmente mercè il grandioso sviluppo dato alle opere pubbliche, dalle quali ebbe origine l'unifica­zione dei mercati, furon poste le premesse per una progressiva trasformazione delle cam­pagne e per la liberazione progressiva dei lontani centri rurali dal tradizionale isolamento, sicché anche lì alle classi minori fu offerta la possibilità di uscire dal torpore in cui eràn da secoli vissute.
Il volume del Brancato, che per compiutezza dell'indagine e la dovizia delle illumi­nanti analisi segna indubbiamente un nuovo avanzamento, saldo e proficuo, della sto­riografia risorgimentale della Sicilia, e di cui non ci è stato possibile, per la sua vastità, dar altro se non cenni rapidi e discontinui, è preceduto da un'interessante visione pano­ramica, ricca di dati statistici, dell'ori. Francesco La Loggia, della questione meridionale dal 1860 al 1950, considerata particolarmente nei riguardi dell'idea e dell'istanza auto­nomistica.
Sul brigantaggio in Sicilia, e in specie sulla mafia, è ormai copiosa la bibliografia; ma il recente saggio del D'Alessandro merita di essere segnalato, perchè si allontana dalle solite trattazioni esteriori e ideologiche (ne fanno, in verità, eccezione il lungo capitolo che vi dedica li Brancato e lo studio breve, ma acuto, del Romano, del 1952, posto in appendice al volume Momenti del Risorgimento in Sicilia) per attenersi unicamente a documenti di archivio e a fonti dirette. Dalle comprovato testimonianze ch'egli ci fornisce desumiamo che dai Normanni all'età di Federico, dagli Angioini agli Spagnoli, dal regno di Vittorio Amedeo II sino ai Borboni il brigantaggio isolano assunse la forma tipica dell'abigeato, e cioè di furti e di ricettazione degli animali rubati, il che provocò sempre una larga serie di reati e, come conseguenza prima, molto volte, l'omicidio. La sua perse cuzione coincise con la più vasta opera di salvaguardia della sicurezza pubblica e delle campagne, nelle quali maggiormente incideva procurandovi spesso enormi danni. E rag­giunse talvolta gravi proporzioni, come avvenne specie nella seconda metà del '700, quando il celebre Antonio Di Blasi, detto Tostulonga, diresse una compagnia di 22 briganti dando a ciascuno 10 onze oltre un cavallo e l'armatura: divisi in due colonne, essi infe­starono il .Regno e a più d'uno tagliarono le orecchio e la punta del naso (queste erano le