Rassegna storica del Risorgimento
anno
<
1960
>
pagina
<
25
>
Giuseppe Ceracchi 25
della Repubblica Romana. Esule, al contrario della maggioranza degli altri esuli romani, egli non accolse la caduta della Repubblica come un fatto contro cui nulla si potesse fare. Al contrario di coloro che si accontentavano di assicurarsi un buon posto e di essere aiutati economicamente e che, come il Visconti, *) affermavano esplicitamente io non penso più a Roma , egli non sapeva rassegnarsi, denunciava le responsabilità e voleva agire. Abbiamo visto cosa avesse scritto al Talleyrand sulla politica dei governanti romani, dall'atto d'accusa redatto contro di Ini in occasione del processo3) sappiamo che era ancora più duro verso i Francesi : egli trouvait indigne la manière dont on traitait un peuple qui s'était dévoné aUx intérèts de la France e attribuiva i mali dell'Italia ai ladri e a coloro che avevano retto l'amministrazione della penisola. La dura sorte di Roma e dell'Italia lo angustiava in continuazione, si da farlo apparire, a chi ben non lo conosceva, un esaltato. La duchessa d'Abrantès (che, con psicologia tipicamente femminile, confessava che son dégoùt de la vie, sa tristesse profonde le rendaient intéressant ) ci ha lasciato nelle sue memorie nn vivo quadro della situazione psicologica del Ceracchi in quei mesi: Cet homme avait une Sme de fou... sonvent il récitait des vero sur la liberté de l'Italie; alors il s'animait, sa voix deve-nait retentissante, son ceil étincelait: il se grandissait de dix coudées; puis, tout à coup, il s'arrètait sans force; se regard, qui lancait des éclairs, devenait morne, éteint; ce port de tète, ce corps élancé, qui semblait chercher le ciel, s'afFaissait sur lui-méme: il tombait sur une chaise, et
répétait plusieurs fois, d'une voix sourde et brisée: Siamo schiavi!
siamo schiavi... . ' Né il Ceracchi si limitava a recriminare e a disperarsi. Ancora dagli atti del processo contro di lui,s) sappiamo che al momento dell'arresto era in procinto di partire per l'Italia e, dato il momento, non doveva essere certo per riabbracciare a Milano la famiglia.
Se egli non partì e si imbarcò, invece, nella congiura contro il Primo Console doveva esserci qualcosa di ben importante. Abbiamo visto che
i) E. Q. Visconti a D. Straccili, 30 agosto 1800, in G. SFOHZA, E. Q. Visconti e la sua famigliat Genova, 1903, p. 136.
2) Giustamente V. E. GJUNTELLA, Gii esuli romani in Francia alla vigilia del 18 brumaio, in Archivio della società romana di storia patria, 1953, pp. 22S-239, ha notato che l'ambiente degli esuli romani in Francia si divise tosto moralmente e politicamente .ih due: i repubblicani decisi, desiderosi di rimanere sulla breccia e di agire, e quelli che, desiderosi solo di sistemarsi, aderirono subito alla politica consolare e, di fatto, scomparvero dalla scena politica (sulla quale, se mai, rimasero solo per sollecitare le persecuzioni più spietate contro i loro ex-compagni). CIY. anche L. ANCEI:,OW, Alla valente ed animosa gioventù d'Italia. Esortazioni patrie, Londra, 1837, pp. 388-89,
*) Proci ecc., eft., p. 12.
4) Ménwires da madame la duchesse d'ABBAMTfiS, II, Parte, 1835, pp. 293-94.
5) Proci* e., effe, p. 256.