Rassegna storica del Risorgimento

CERVIA ; MOSTRE
anno <1960>   pagina <79>
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Xéifofi e periodici 79
valutazione dei boni veniva fotta in once, antica unite di misura e di conto, e che nella pratica venne a verificarsi un fenomeno per il quale ai dimenticò che le once rappre­sentavano la capitalizzandone della rendita (corrispondente a ducati sei per oncia), affermandosi invece l'uso di considerare l'oncia pari a carlini tre, ossia olla rendita tout court. Sicché, pur essendo necessario ricordare che l'oncia rappresentava nei più antichi catasti il valore capitale e che tale valore doveva teoricamente rappresen­tare anche nel catasto di Carlo di Borbone, si finì con l'ammettere in pratica che essa stesse ad indicare nello onciario, l'equivalente di quello che intendiamo per reddito imponibile .
Per quanto poi riguarda l'ordine con il quale i contribuenti venivano iscritti nell'orinario, sarà sufficiente ricordare che le imposte crono di due generi, reali e per­sonali. I Comuni, ovvero università, erano perciò considerati come aggregati d'uomini, e di beni, di varia specie e natura e la tassa veniva determinata proprio in base alle varie qualità delle persone e dei beni. Quanto alle persone, una prima e generale distinzione veniva fatta tra cittadini e forestieri, quelli costituenti fuochi delle uni­versità, questi inseriti nel catasto o perchè residenti o perchè possedevano beni nell'am­bito comunale. Una seconda distinzione, non meno importante, si faceva tra laici ed ecclesiastici, comprendendo tra questi ultimi non solo le persone fisiche, ma anche gli enti e gU istituti religiosi. In base a queste due principali divisioni e ad altre minori, si avevano le varie categorie dell'imposto, che si accatastavano in una specie di riassunto che, per l'appunto, chiamavasi collettiva . Di ogni articolo catastale erano indicate le onci e sia d'industria, sia di beni, che sommate davano il totale del reddito imponibile per ogni gruppo di contribuenti. Era questa hi collettiva generale delle oncie una delle basi del sistema tributario.
Dall'esame di questi documenti fiscali, il Villani ha potuto trarre conclusioni di insieme. Asserisce che solo di rado i beni ecclesiastici rappresentavano meno del 10 del reddito totale e solo nei comuni più poveri (Tramonti, Agerola, Monte Pertuso, Furore, Acquarola), mentre nei comuni più ricchi e popolosi raggiungevano il 25 e talvolta anche più del 30 (Sarno, Noccra dei Pagani, Nocera S. Matteo, Salerno, Monte Corvino). Per quanto riguarda la presenza di elevate percentuali di stranieri in alcuni comuni, si è portati a ritenere che dove la maggior parte delle terre e delle altre fonti di reddito erano nelle mani dei forestieri, non esistesse una numerosa bor­ghesia terriera e che la popolazione fosse costituita quasi esclusivamente da contadini e da artigiani, che potevano solo contare sullo scarso reddito del proprio lavoro. Pro­banti, in tal senso, gli esempi di S. Marzano, S. Valentino, S. Pietro di Scafati, Ba vello. Minori e S. Mango, costituenti, i primi due, appendici del grosso centro di Sarno, il terzo una frazione del Comune di Scafati, il quarto e il quinto complemento di Amalfi e di Madori, ed infine S. Mango, una specie di casale di Salerno. Sicché, sommando il reddito dei forestieri con quello degli ecclesiastici, si viene a constatare che gli abi­tanti dei comuni ora considerati venivano a contribuire al totale del reddito imponì­bile con una percentuale compresa tra il 53 e il 34 . Dimostrazione evidente della spa­ventosa sperequazione tributaria nella quale vivevano gli abitanti di quei pochi, ma sfortunati comuni.
Sostanzialmente diversa era la situazione dei centri maggiori, dove si manife­stava un maggiore equilibrio sociale, come in quel comuni dell'agro nocerino sarnese (particolarmente Sarno, Nocera S. Egidio, Nocera S. Matteo, S. Giorgio), nei quali il reddito imponibile dei cittadini rappresentava non mono del 75 , Percentuale che permette di affermare hi esistenza di una abbastanza diffusa e produttiva proprietà media e quindi di un ceto relativamente numeroso di contadini agiati e di borghesia rurale* In quanto a Salerno e a Monte Corvino sì può dire che esistesse una situazione ancora diversa: nello mani dei cittadini stava 11 55-57 circa del reddito imponibile, mentre particolarmente sensibile, specie a Salerno, era la parte dei beni ecclesiastici, pari a circa il 24 . Doti che rivelano la presenza di un forte nucleo di borghesia locale e di una grave sperequazione economica, che il Villani stigmatizza come ricchezza