Rassegna storica del Risorgimento

CERVIA ; MOSTRE
anno <1960>   pagina <98>
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Libri e periodici
Nel popolo, poi, si mantenevo vivo una certa propaganda rivoluzionaria, di ori­gine mazziniana. Lugano era divenuto il centro dei democratici impegnati nella dura polemica contro il tradimento regio e Mazzini vi fondava la giunta di insurrezione nazionale progettando di attuare il collegamento con il Manin e fare di Venezia il cen­tro della rivoluzione nazionale. Intanto (ottobre-novembre 1848) promuoveva, serven­dosi del Medici e del Daverio, tentativi insurrezionali in Vai d'Intclvì, nell'alto lago di Como e sulla sponda orientale del Lago Maggiore. I modesti focolai rivoluzionari erano rapidamente domati e pure soffocati erano le iniziative autonome dell'Albor-ghetti in Val Brembana e del Dolzino a Cbiavenna. Il Di Nolfo rintraccia le ragioni di questi insuccessi della politica democratica improntata alla guerra di popolo , con la incapacità dei repubblicani a raggiungere un'intesa su un programma con­corde e sulla mancata rispondenza di questi programmi alle aspirazioni della gene­ralità (p. 323). Così l'iniziativa ripassava a Carlo Alberto con la ripresa della guerra del marzo 1849, ma ad essa si accompagnava un altro episodio di rivolta popolare: le dieci giornate di Brescia, che in due repubblicani, il Cassola ed il Contratti, aveva trovato i maggiori ispiratori. Sconfitto l'esercito sardo a Novara, domata e sanguino­samente repressa l'insurrezione bresciana, lo sguardo dei patrioti puntava su Venezia, intenta ancora a resistere all'assedio austriaco.
Le pagine che il Di Nolfo dedica a Venezia e, più in particolare, alla politica del governo provvisorio sorto nella città lagunare, sono tra le più interessanti e ricche del volume: le preoccupazioni del Manin, l'energia del Cavedalis, la scarsa attitudine del Oraziani sono presentate con molta acutezza. I tentativi diplomatici verso la Francia, l'opposizione al triumvirato di alcuni esponenti della sinistra repubblicana, le varie fasi della resistenza militare durata fino all'agosto 1849, quando il governo si vide co­stretto dalla carestia ad accettare l'invito alla resa, trovano pure un notevole risalto nel quadro di un'interpretazione equilibrata e attenta.
Altrettanto viva è la parte dedicata alle vicende piemontesi dopo hi sconfitta di Novara. Sottolineiamo, innanzitutto, la ricostruzione dell'incontro di Vignale condotta con estremo rigore critico e con un vaglio puntuale delle fonti: le note relative (pp. 909-912) riassumono con molta chiarezza la complessa questione interpretativa di quello episodio di apertura del regno di Vittorio Emanuele (strano che il Di Nolfo non ricordi le pagine di Adolfo Omodeo su La leggenda del colloquio di Vignale, ora in Difesa del Risorgimento, Torino, 1951, pp. 552-557). Seguono la costituzione del ministero capeg­giato dal De Launay, l'insurrezione genovese e la sua repressione, le trattative per la stipulazione del trattato di pace tra il Piemonte e l'Austria, il tentativo di trovare un appoggio diplomatico a Parigi durante le trattative, la caduta del De Launay e la nomina dell'Azeglio a presidente del consiglio dei ministri.
Qualche approfondimento della politica di Luigi Napoleone sarebbe stato desi­derabile, specie per la proposta di occupare Genova, fatta con lo scopo evi­dente di mostrare la volontà di salvare il Piemonte. Pensiamo che il Di Nolfo si riserbi di darci un quadro più puntuale della politica italiana del futuro imperatore nel volume settimo della Storia, quando tratterà l'intervento francese a Roma (su tale argomento sì possono leggere delle belle pagine nella recentissima Storia d'Italia coordi­nata da N, Valeri, Torino, 1959, nel capitolo di A. M. Ghisalberti, Là seconda Restau-rasimte, Y. Ili, p. 779).
Attraverso ui drammatiche, brusche rotture e rapido riprese delle trattative (va notato che l'Austria aveva interesse almeno pari a quello del Piemonte per con­cludere la pace) ti arriva alia stipulazione della pace di Milano (6 agosto 1849) che può essere considerata tollerabile per Io Stato uscito sconfitto dalla guerra. L'approva­zione del trattato provocherà una discussione assai vivace nel- Parlamento subalpino in cui i democratici sedevano ancor in maggioranza e contrastavano l'opera dell'Aze­glio sospettosi che il ministro potesse acconsentire a violazioni costituzionali. Si avverte, ad un certo punto, la impossibilità di trovare un accordo tra le diverse correnti del Parlamento subalpino per pervenire alla formazione di una maggioranza. Si. rende