Rassegna storica del Risorgimento

CERVIA ; MOSTRE
anno <1960>   pagina <101>
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Libri e periodici
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grafia del momento, che rappresentò, pur tenendo conto delle inevitabili manchevo­lezze cui andava incontro una inchiesta ufficiale svolta mentre la involuzione della politica ferdinandea maggiormente si accentuava, una incontestabile testimonianza dell'interesse che il ceto dirigente borbonico manifestava non solo allo studio ma anche al miglioramento ed allo sviluppo dell'economia del Regno . Appunto intorno a questa inchiesta e alla pubblicistica che più o meno direttamente si ricollega allo stesso periodo, ri articolano in una ventina di pagine, le osservazioni del Villari ed il quadro ch'egli traccia dell'economia meridionale nel cosidetto decennio di preparazione. Sulla indù* stria napoletana non aggiunge molto a quanto già si sapeva attraverso la lettura del Petrocchi, del Pontieri, del Milone e di quei pochi che si sono recentemente interessati al problema. Suggestiva invece, ma non ancora sufficientemente sviluppata, la tesi che spiega la non celata ostilità degli economisti borbonici alle prevalenti dottrine del liberalismo economico, come fenomeno di paura e di conservazione sociale. Il ceto dirigente borbonico scrive il "Villari aveva presenti le conseguenze che lo sviluppo industriale aveva avuto e continuava ad avere in vari paesi europei, e decisamente e con ragione le temeva: L'industria scriveva il Bianchini, riferendosi appunto a quei paesi ha cagionato il più rilevante cangiamento nella proprietà, nella legislazione, nei sistemi, nelle instituzioni, in somma nello stato sociale. Infatti, si comprende cosi come l'atteggiamento paternalistico dei Borboni tipico di tutto il loro indirizzo, amministrativo ed economico fosse particolarmente accentuato nei confronti del problema industriale; del resto esplicitamente essi sostenevano la necessità di conte­nere entro .certi lìmiti lo sviluppo industriale, e giustificavano questa loro posizione mettendo l'accento su tutte le conseguenze ed i fenomeni negativi che accompagnavano dovunque questo sviluppo, non solo per l'esasperazione delle lotte sociali, ma anche per l'accentuazione delle condizioni di dipendenza dei lavoratori, per il passaggio a nuovi e più rigidi rapporti di lavoro, per l'impossibilità di mantenere l'equilibrio tra produzione e consumo, per hi concentrazione della ricchezza e della forza economica in poche mani, per l'aumento della disoccupazione e per molti altri, fattori. In mezzo al progresso notava il Bianchini veggiamo in quasi tutta Europa alla giornata intere popolazioni nella miseria, la povertà è tuttavia lo stesso ente morale e fisico de' tempi andati che disturba l'umanità... Anche ne' paesi più floridi per industria ed in quelli più favoreggiati dalla natura per indigene produzioni quasi sempre i mezzi di sussistenza non corrispondono . In particolare in Inghilterra è un singoiar contrasto ciò che dicesi prosperità industriale colla povertà di numerosissima gente: manca quasi sempre E pane agli nomini anche ne' distretti più ricchi e dediti alle manifatture... Fra la straordinaria ricchezza nazionale l'arderò inglese nella prospera condizione non ricava, quando gli è dato di lavorare, il che talora manca, se non uno scellino e sei pense al giorno, mentre per vivere gli bisognano non meno di due scellini e sei pense . Analisi di un fenomeno di cui trascurava volutamente gli aspetti di sostanziale pro­gresso ma che muoveva dalla spinta a ricollegarsi allo studio di quei problemi che ap­passionavano gli economisti europei, specie dopo il verificarsi delle crisi economiche avvenute in Inghilterra nel 1825, negli Stati Uniti nel 1836 ed in Belgio nel 1839, e che interpretate in un determinato modo sembravano dare ragione alle preoccupazioni dei Borboni.
Fatto sta che la politica industriale dei Borboni; che aveva avuto il suo momento di maggiore efficienza tra il 1830 e il 1840, sì era poi ridotta attraverso le contraddi­zioni del sistema protezionistico, ad una difficile politica di conservazione di quanto ri era creato. Ed a falwire maggiormente il problema era la concentrazione dell'indu­stria intorno alla capitale, concentrazione ohe accentuava la profonda divisione tra capitale e provincio e ohe eira come la frattura eentrale da ani partiva una frammenta-ione che investiva perfino i rapporti tra le Provincie e tra i comuni e, gravissima fra tutte, specie da un punto di vista politico, tra Sicilia e Continente. Insufficienti come erano* le spese pubbliche, lungi dal contribuire alla ripartizione della ricchezza, si con­centravano intorno a Napoli e in Terra di Lavoro. Sicché il divario tra capitale e provili-