Rassegna storica del Risorgimento

CERVIA ; MOSTRE
anno <1960>   pagina <102>
immagine non disponibile

102 Libri e periodici
eie, accentuato da questi vari fattori, finiva col negare la possibilità di esistenza di un rapporto in cui Napoli fosse, come lo erano diverse capitali europee, stimolatrice e sollecitatrice dell'economia delle dipendenti Provincie.
Le conseguenze negative di questa concentrazione finanziaria ed industriale sulle campagne erano evidenti. Ed anche se non sono messe in relazione con la politica gove* nativa esse sono ben presenti agli studiosi dell'economia meridionale, in quegli anni, od almeno ai più attenti di essi . L'assenza di una sana politica creditizia, le difficoltà di comunicazioni che sommate alle difficoltà di circolazione dei servizi e dei capitali, rendevano estremamente problematica la costituzione di una economia di mercato, e, conseguentemente, lo sviluppo di una qualsiasi politica dei consumi. Di ciò non vi era evidentemente traccia nell'Inchiesta promossa dal R. Istituto di Incoraggiamento in quanto era questo il punto su cui più facilmente poteva accendersi la polemica e la discussione, se si pensa che in quegli anni il motivo intorno al quale si manifestava più frequentemente la pressione dal basso sulla pubblica amministrazione era quello della richiesta di strade, di mezzi e vie di comunicazione; e che questo motivo era inti­mamente connesso con il problema dello sviluppo del mercato, di frónte al quale, quindi, la responsabilità deUnmministrazione, del governo, era diretta ed immediata.
In agricoltura si avvertivano, su di un piano naturalmente diverso, le conseguenze di quella mancata economia di mercato. Ma il problema assumeva importanza di gran lunga maggiore in quanto proprio in quel settore più apertamente si manifestavano i contrasti di classe. Diffusi fermenti ed aspirazioni della grande maggioranza della popolazione del Regno, che si erano confusamente e tumultuosamente manifestati nella rivoluzione del *48, creavano pericolosi squilibri ed erano forieri di inevitabili sconvolgimenti sociali. A dire il vero, l'agricoltura aveva fatto non pochi progressi sì pe' cresciuti bisogni e pel maggior consumo tra* nazionali come scriveva il Bian­chini si per maggiori richieste dallo straniero delle sue produzioni. L'elemento più vistoso di questo progresso era stato, lungo tutta la prima metà del XIX secolo, ed. in gran parte continuava ad essere anche dopo il '48, l'estensione delle colture tradizionali (cereali, vite, olivo) e la diffusione di nuove piante (barbabietole). Ma ad esso non si era accompagnata una trasformazione generale dell'organizzazione produt­tiva: lo stesso Bianchini dopo aver sottolineato l'opera di trasformazione delle terre incolte (ed i relativi inconvenienti che provenivano dal modo improdentc in cui essa era avvenuta) avvertiva: non in tutti i paesi sono migliorati i metodi di colti­vazione, sicché nel generale la terra produce più per fecondità che per aiuto dell'uomo... Foca è stata l'influenza delle uostre Società economiche le quali sono in tutte le pro­vince del reame, affinchè migliorassero i metodi di coltivazione. Accanto all'arretra­tezza dei metodi di coltivazione permanevano ancora, nell'agricoltura napoletana, i problemi caratteristici della prima fase della rivoluzione agricola , residui di una situazione economico giuridica contro la quale già si era sollevata la polemica dei rifor­matori della seconda metà del '700 e dei primi anni del secolo successivo: cosicché certe prospettive di ammodernamento (che pure, come il Villari dimostra, venivano indicate dagli istituti scientifici del Regno) restavano prospettive astratte, date le con­dizioni' obbiettive in coi ancora si trovava l'agricoltura napoletana. A parte certe soprav-vivenze tipicamente fendali, come la promiscuità di diritti su determinati fondi, che sussistevano ancora in non poche zone e che impedivano l'intensificazione della pro­duzione e che, d'altra parto erano frutto della permanenza del carattere estensivo delie colture, non era stato risolto il contrasto tradizionale tra agricoltura e pastorizia. Le quotizzazioni di terre demaniali effettuate nella seconda metà del '700 e soprattutto durante e dopo la eversione della feudalità, mentre avevano sottratto all'industria anneri tizia larghe estensioni di pascolo naturale non orano state seguite che in misura insufficiente dall'incremento dei prati artificiali, malgrado l'intensa propaganda fatta in questa direzione dalle Società economiche. I pochi allevatori che nelle province avevano creato le condizioni e gli impianti per una pastorizia moderna venivano citati ad esempio,; ma alla crisi generale dei piccoli allevamenti che erano elemento compie-