Rassegna storica del Risorgimento

CERVIA ; MOSTRE
anno <1960>   pagina <103>
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Libri e periodici 103
mm.tare, ma importante e necessario dell'economia contadina non vi era accompa­gnato un adeguato sviluppo delle medio e delle grondi industrie unnentizie. Un altro segno delle: cattive condizioni generali dell'agricoltura era, d'altra parte, l'impossibi­lita di impedire le continue appropriazioni abusive di terreni demaniali ci dissodamenti indiscriminati elle mettevano in pericolo la stabilità del suolo agricolo ed erano causa di continui dissesti delle colture. Pur tuttavia impotente a frenare il processo di deca­denza dell'economia agraria, l'attività degli studiosi dì agronomia e degli istituti scienti­fici, non si esauriva con la denuncia dei mali e l'indicazione di eventuali rimedi, ma si legava, per un singolare processo di unità d'interessi, allo studio di quanto di più moderno e, allo stesso tempo, di più astratto si potesse immaginate, in riferimento alla situa-rione del Regno. La discussione sulla introduzione delle macchine in agricoltura era esempio di ciò; e ad essa si collegavano anche delle questioni, relative alla distribu­zione della proprietà fondiaria, sulle quali in quegli anni si svolgeva un certo dibattito tra gli studiosi europei di agronomia. Interessante, era a questo proposito, l'opinione del Pel Giudice che sosteneva che anche in un paese in cui la piccola proprietà fosse diffusa (e dove era naturalmente più difficile la organizzazione dell'azienda agraria capitalista) era possibile l'utilizzazione piena ed economica delle macchine agricole: è necessario - scriveva - che vi si applichi il principio di associazione... sorgente d'immensi vantaggi e che dai piccoli proprietari si acquistino a spese comuni gli strumenti più utili e vengano impiegati sui piccoli fondi con discreto compenso . Ma questo discorso è la conclusione del Yillari se poteva trovare un certo fonda­mento nelle tradizioni comunitarie dei centri rurali (in cui il ricordo della gestione collettiva delle terre demaniali era ancora vivo, malgrado i principi sovvertitori messi in atto e generalizzati nel decennio francese, ma introdotti praticamente dalla borghesia già. nella seconda metà del '700), non era certo adatto alle condizioni di miseria e di precarietà, e spesso alla disperazione, in cui versava una grande parte dei pic­coli proprietari meridionali.
Sulla seconda parte di questo scritto, e cioè su quella riguardante gli aspetti finanziari ed amministrativi della fine del regime borbonico nel mezzogiorno d'Italia, non vi sarà molto da aggiungere sia perchè la finanza napoletana era in complesso l'espressione delle condizioni che sono state in parte delineate, sia perchè il problema è assai meglio conosciuto attraverso la pubblicistica che nacque dal celebre pamphlet dello Scialoja e che si ripercosse a lungo nel tempo attraverso gli scritti del Nini, del Corano Donvito e di altri. Anzi, basterà ricordare che i settori più importanti dell'at­tività produttiva del regno quelli che non erano semplice manifestazione di bisogni locali ma avevano un respiro nazionale sia in quanto erano potenzialmente o realmente collegati in modo unitario e permanente ad un vasto mercato sia in quanto èrano indi­rizzati alla soluzione industriale di base -si sorreggevano in gran parte sulla ini­ziativa dello Stato ed erano espressioni di un equilibrio che poggiava su molti elementi negativi, ma che riusciva a mantenersi proprio perchè tutti gli aspetti della politica economico-finanziaria del governo erano tra loro corrispondenti ed avevano, nel com­plesso, omogeneità e coerenza. Proprio nel legame tra economia e finanza, da inten­dersi con i limiti sopra accennati, in questa sorto di debole, ma pertinace opera di stata-libazione della parte più importante della vita economica, sta la chiave di volta della politica economico-finanziaria del governo borbonico. Lo stato come dice il Vinari : non si limitava soltanto a creare le condizioni ambientali che dovevano favo* rito l'organizzazione economica (e del resto faceva molto poco in questa direzione) ma aveva operato in modo da poterla controllare in tutte le sue manifestazioni e contenerla entro limiti che non urtassero con le sue istituzioni politiche e amministrative, con le sue tradizioni. Per questo, conclùsa nel '60 la vita autonoma del regno, si presentava ai primi studiosi del problema meridionale il quadro di una situazione desolante: del vecchio Regno appariva, infatti, in tatto la sua evidenza, l'eredità negativa, la frammentarietà delle iniziative, l'isolamento dei centri di produzione, la povertà naturale e dell'organizzazione produttiva mentre tutto ciò che dello Stato e con lo Stato era vissuto (in definitivo