Rassegna storica del Risorgimento

CHABOD FEDERICO
anno <1960>   pagina <426>
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426 Libri e periodici
Ma eguali criteri ispirarono l'azione del Governo sardo nei confronti dell'Emilia, delle Marcile e dell'Umbria a cui anzi, dal gennaio 1861, vennero estesi tutti e cinque i codici piemontesi (cioè in più quelli civile e di commercio). Per l'ex-rcgno di Napoli e per la Toscana il problema dell'estensione dei codici si presentò più complesso date le tradizioni dottrinarie e l'effettiva organicità delle leggi indigene; fu perciò necessario limitare la portata dell'accentramento legislativo. Nell'exregno di Napoli l'estensione restò limitata ai codici penale e di procedura penale; nella Toscana anche la primitiva legislazione penalistica fu lasciata inalterata.
Dove però emersero i reali problemi della classe dirigente liberale fa nell'elaborazione del nuovo codice civile. Abbiamo già accennato, con le parole del Romano e del Mancini alla divisione esistente nel Pari amento; era un beneficio per il nuovo Stato un'unificazione legislativa rapida, a vapore, o era preferibile un procedimento più.meditato e accurato rispettoso delle autonomie delle nuove Provincie ? In verità dal 1859 al 1865 la maggior parte degli ex-Stati si resse su una legislazione civilistica relativamente autonoma (seppur spesso in palese contrasto con le nuove leggi amministrative), ma non può dirsi che questo abbia giovato molto alla causa del decentraménto. In effetti,! vecchi codici erano al tramon­to e non sarebbe stato certo un male che gli interessi di alcune classi, per le quali quei codici erano stati elaborati, fossero lesi; ma è anche vero che una serie di interessi permanenti legavano, al di sopra delle frontiere scomparse solo sulla carta, buona parte dei legisla­tori a coloro ai quali stava a cuore il mantenimento dello statu quo sociale ed economico. Non appar facile perciò, a questo punto, districare la matassa accentramento-decentra­mento: disarticolare quel tanto di progressivo che vi è nei sostenitori del rispetto di alcune autonomie da quanto vi è di pericoloso nell'atteggiamento di coloro che temono le novità.
In realtà anche l'unificazione legislativa riconduceva al peccato di origine dello Stato italiano. Era stato o no esso generato da vari moli rivoluzionari ? E che significato poteva assumere il concetto della continuità dello Stato (che le gestioni luogotenenziali misero in piena evidenza), nel senso di una dilatazione dei poteri- costituzionali del Pie­monte nel nuovo organismo creato, se non quello, a tacer d'altro, di un soffocamento dell'istanza di un'assemblea costituente che sola avrebbe potuto, assimilando le piò importanti conquiste del regno sardo, far germogliare uno Stato unito e moderno ? Tutta­via, anche mancando l'assemblea costituente da tante parti richiesta , l'elaborazione dei codici avrebbe facilitato l'unificazione reale della nazione italiana solo però che i legislatori avessero avvertito, se non preceduto, l'ansia di rinnovamento civile dello popolazioni italiane. Da qui il valore eccezionale, rivoluzionario, delle discussioni sulla unificazione legislativa. Valore riconosciuto da vari settori del Parlamento se il deputato Massari, nella seduta dell'll febbraio 1865, sentì il bisogno di ricollegarsi ad un precedente intervento di Crispi il quale aveva sottolineato l'importanza del dibattito che si stava svolgendo per invitare la Camera a indirizzare lo sguardo oltre le apparenze ed a fer­marsi sullo spirito con cui si volevano rendere operanti i programmi dell'unificazione. Ben diceva esordi il Massari l'egregio deputato Mari che nella storia dei parlamenti non v'ha esempio di progetto cosi audace, cosi ardito come quello nel quale noi oggi ci occupiamo. E verissimo. Ma io credo che egli avrebbe dovuto prendere in maggior consi­derazione le parole che giorni sono erano profferite da uno che siede su quei banchi, l'ono­revole deputato Crispi, allorché enunciando la questione ne' suoi veri termini, egli diceva che noi eravamo oggi chiamati a compiere un grande atto rivoluzionario.
Sì, signori, io accetto la definizione della questione quale fu enunciata dall'onorevole deputato Crispi, dando, ben inteso, all'epiteto rivoluzionario una significazione alquanto diversa da quella che egli probabilmente intese dare. Dirò di più; io credo che noi, da quattro anni dacché siamo riuniti in esecuzione del mandato che abbiamo ricevuto dal Paese, non stiamo facendo altro se non che dei grandi atti rivoluzionari.
La rivoluzione italiana, come tutti sapete signori, del 1860, quella che veramente può chiamarsi rivoluzione nel senso dell'onorevole deputato Crispi, la rivoluzione italiana fu troncata a metà ed ha lasciata una eredità grave e pesante al Governo ed al Parlamento del regno d'Italia. Il Governo ed il Parlamento del regno d'Italia sono oggi chiamati a compiere con le forme legali, con la osservanza del rito costituzionale, molti grandi atti