Rassegna storica del Risorgimento

ARICCIA ; STATO PONTIFICIO ; GIACOBINI
anno <1960>   pagina <470>
immagine non disponibile

470 Renato Le fetore
due consiglieri da loro nominati); rispondevano di persona dell'ammini­strazione del pubblico denaro; controllavano il commercio locale ccc, Con l'andar del tempo, i massari, il cui nome troppo ricordava l'origine rurale dell'abitato, si erano trasformati in priori; il Vicario era stato sostituito da un Governatore e all'Assemblea generale del popolo ariccino si era surrogato normalmente il Consiglio delti Quaranta : mutamenti non soltanto formali, perchè effettivamente, già negli ultimi tempi dei Savelli, ma molto più sotto i Chigi, il vecchio borgo aveva avuto un notevole sviluppo: il Bernini aveva, tra l'altro, dato assetto monumentale alla piazza di Corte con la bella chiesa dell'Assunta; il pa­lazzo baronale era divenuto centro di feste, cacce, manifestazioni artisti­che a cui concorrevano i più bei nomi della aristocrazia romana; devoti pellegrinaggi affluivano con grande concorso di popolo al vicino santuario della miracolosa Madonna di Galloro; la prossimità delle villeggiature pontifìcie a Castel Gandolfo portava ad un notevole movimento di perso­nalità che sciamavano per tutti i Castelli e il Pontefice stesso non disde­gnava di spingersi fino all'Ariccia nelle sue quotidiane passeggiate; l'annuale fiera di Pentecoste e le feste di Santa Apollonia e di San Rocco facevano movimento e rumore.
Certo, dietro questo brillante scenario, la vita dei terrazzani, come allora venivano chiamati i castellani di Ariccia, continuava a svolgersi nel tono più che modesto e monotono di un rustico borgo di vignaroli, piccoli affittuari e proprietari, di semplici artigiani, un piccolo borgo senza grandi risorse (e tutte, direttamente o indirettamente, nelle mani dei barone ), sempre alle prese con la necessità di far fronte ai tributi e contributi imposti direttamente o indirettamente dal Governo di Roma e ai bisogni, anche se molto elementari, della popolazione locale. E, intorno a questi problemi e alle angustie delle pubbliche finanze, c'era la solita vicenda delle piccole beghe paesane, più o meno composte e contenute dal paternalismo di Sua Eccellenza Padrone , come il prin­cipe veniva comunemente nominato negli atti del tempo. E che si trat­tasse di una denominazione non soltanto convenzionale é dimostrato dal fatto che egli ricavava dall'affitto dei suoi beni ariccini (ivi compresi i proventi degli spacci pubblici forno, macelleria e pizzicheria di cui aveva la privativa) la somma annua di ben 7.200 scudi, pari a oltre 15 milioni di lire attuali. *>
i) R. LEFEVRE, Vn Consiglio Comunale del *600: Ariccia, in Amministrazione Civile, li, ii. 12 (maggio 1958).
J Vedere la nota ul verbale del 13 marzo 1798, più olite trascritta.