Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDI GIUSEPPE
anno <1960>   pagina <613>
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Libri e periodici 613
volume che la Società Istriana di Archeologia e storia patria, esule come il Combi lo fu in Venezia, ha voluto ottimamente carato, quale omaggio al suo ideale precursore, morto nell'anno stesso della sua fondazione (Parenzo, 1884). SERGIO CELLA
ROSARIO ROMEO, Risorgimento e capitalismo (Biblioteca di cultura moderna, 531); Bari, Laterza, 1959, in 16, pp. 207. L. 1400.
Possiamo parlare solo ora dell'intelligente volume del Romeo, sopite se non del tutto spente le polemiche che ne accompagnarono la pubblicazione a puntate sulla rivista Nord e Sud e ne seguirono la pubblicazione in volume. Da questo punto di vista, l'A. ha già ottenuto un notevole successo, per le discussioni suscitate, per quanto egli presenti il suo lavoro come una ricerca, che non esaurisce hi storia del capitalismo italiano, e rimane l'indagine d'uno storico, non d'un economista né d'uno statistico.
H volume si articola in due parti distinte, la prima delle quali è dedicata ad un esame critico di quanto la storiografia marxista ha prodotto recentemente in Italia. Premessa la considerazione generale, che la conversione al marxismo di molti studiosi sia avvenuta in un particolare momento di crisi della vita dello Stato italiano e che sia stata spesso frutto dell'entusiasmo per i successi pratici del comunismo piuttosto che meditata accet­tazione d'una dottrina (naturalmente si comprende come questa considerazione abbia provocato risentite reazioni), il Romeo rileva come hi storiografia ispirata al marxismo prediliga lo studio del Risorgimento e dello Stato unitario, rifacendosi per lo più alla tesi di Gramsci del Risorgimento italiano come rivoluzione agraria mancata. Tale tesi, che in Gramsci ha avuto valore di formula atta a servire di presupposto alla lotta politica e che appare accolta senza riserve nei lavori del Candeloro e del Carocci, vuol essere dal Romeo verificata, riguardo a due questioni fondamentali; c'è stata nel nostro Risorgimento l'effettiva possibilità d'una rivoluzione agraria, e se questa alternativa è stata possibile, il suo carattere avrebbe portato a un maggiore progresso di quello concretamente realizzato? La risposta, negativa per ambedue le questioni, vien data dall'A. dopo il riesame della storia economica del paese tra il 1860 e la fine del secolo.
Nella seconda parte del libro, il Romeo infatti porta la sua indagine sugli effetti che l'unità politica ebbe sullo sviluppo capitalistico in Italia, chiarendo anzitutto che il concetto moderno di accumulazione primitiva, va sfrondato dalle frange polemiche che il Marx gli attribui, di violenta espropriazione dei contadini e di sfruttamento cruento dei popoli coloniali, e va definito scientificamente come un drastico spostamento, in un paese in fase di economia preindustriale, del rapporto tra consumi e investimenti, diretto ad intensificare l'afflusso di risparmio prodotto in altri settori economici al settore degli inve­stimenti industriali. Assunte quindi come punto di partenza le più recenti elaborazioni dell'Istituto Centrale di Statistica, l'A. può suddividere in tre fasi lo sviluppo capitalistico: la fase dell'accumulazione del capitale nell'agricoltura resa possibile dal rilevante aumento della produzione agraria; la creazione delle infrastrutture mercè la politica delle spese eseguite dallo Stato; la nascita infine della grande industria grazie agli sforzi combinati sopportati dall'agricoltura e dai consumi, dallo Stato e dalle banche.
II fatto fondamentale del ventennio 1861-80 è dato dal rilevante aumento della produzione agraria, testimoniato pure dalle esportazioni rapidamente crescenti di prodotti agricoli e delle industrio legate all'agricoltura. Eppure, le strutture sociali e produttive hanno reso possibile che una parte cospicua di tale incremento venisse sottratta ai con­tadini e incamerata dai ceti possidenti e capitalistici; i quali non l'hanno tuttavia impe­gnata in spese di lusso, bensì investendola nel settore delle opere e dei servizi pubblici, nel risparmio e negli impianti industriali più collegati con l'agricoltura. Contemporanea­mente lo Stato impiegava le sue entrate, Halite per effetto della pesante imposizione fiscale a prelevare dal 7 all'I 1,4 del reddito nazionale netto, di preferenza nel settore delle opere pubbliche e degli altri servizi Largo fu puro nella prima parte del ventennio l'impiego di capitali stranieri, specie nelle imprese minerarie e nei servizi pubblici, cosicché venne creandosi un costoso insieme di infrastrutture preliminari ad ogni sviluppo indù-