Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDI GIUSEPPE
anno <1960>   pagina <616>
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616 Libri e periodici
nismo di chiara finalità intervenzioni sta, è un po' il compendio esemplare dell'iter abba­stanza frammentario che il governo seguiva in un campo nel quale gli interessi privali, ancorché massicci, erano tuttavia piuttosto statici rispetto al dinamismo della specula­zione finanziaria. Meritevole di riflessione è peraltro il fatto che il mantenimento del dica­stero fosse dovuto in prevalenza alla Sinistra meridionale, pensosa forse non tanto, con De Cesare, delle condizioni deplorevoli dell'agricoltura e delle migliorie da apportarvi con un programma governativo, quanto soprattutto della necessità di serbare in vita un organo politico adatto a condizionare fortemente in un determinato senso l'eventuale insorgere di attività economiche autonome nel Mezzogiorno, ed a garantire il prosegui­mento dell'indiscriminata e precipitosa politica di alienazione dell'asse ecclesiastico meridionale, dalla quale cosi cospicui benefici di ordine economico e di potere locale la Borghesia professionistica, poi confluita nella Sinistra, aveva ricavato, e più si propo­neva di ricavare, fino ai risultati egemonici consegniti con le elezioni del 1874.
La polemica sulla libertà o la statalizzazione dell'istruzione, con le fortissime vena­ture ideologiche che vi sono sottintese, e che trovarono un esito contrastato nella poli­tica scolastica di'Correnti forse più sintomaticamente che non nel meccanicismo buro­cratico di Mattencci, costituisce un altro punto di frizione tra principi e realtà nell'Italia unita. Ma qui forse, esplorato lodevolmente dalla Bertoni J ovine il campo dell'istruzione popolare, e scontata l'ispirazione scientista e laicista di un po' tutta la politica scolastica italiana di fine secolo, converrebbe portare l'attenzione sui problemi dell'inscgnamento universitario, nei quali la polemica sull'autonomia e lo statalismo degli istituti, sviluppata specialmente dal Bonghi, dal Baccelli e dal Bovio, tocca punte assai significative non solo di ordine culturale, ma in stretta connessione con la consimile questione che contemporanea­mente si agitava su piano amministrativo in merito al decentramento ed all'autogoverno.
L'A. dedica parecchie pagine a quest'ultimo problema, ponendo in luce l'estraneità ostile dell'impostazione di governo padana rispetto alla realtà integrale italiana, da essa non attesa né intesa, e perciò assunta come dato .grezzo da controllare, con mezzi di emergenza che non si esitava a trasformare in permanenti. Numerose e degne d'analisi sarebbero qui le responsabilità della classe politica meridionale emigrata a Torino, com­pletamente assimilata sul piano europeo e nell'atmosfera cavouriana, ma non altrettanto sensibile alla particolare dialettica interna che si veniva ad instaurare in conseguenza dell'avvenuta unità, e nella quale non era lecito né giovevole perseguire anche sul piano del costume civile e sociale, come nel caso dell'unificazione legislativa attuata dal napo­letano Pisanelli, un livellamento, atto soltanto ad urtare tradizioni e sensibilità spesso non prive, come nel Mezzogiorno, di solide fondamenta dottrinarie e morali.
Giacché e qui mi pare di dover correggere il troppo drastico giudizio dell'A. non solo ombre e corruzione apportava la classe dirigente meridionale indigena nel quadro dell'unità nazionale. A prescindere dagli intendenti e dagli alti burocrati di più sperimentata capacità che confluirono non senza merito nel ceto direttivo prefettizio ed amministrativo alla cui analisi si dedica da tempo il Ragionieri; a prescindere dai qua­dri militari meridionali, che fornirono all'esercito regio uomini di dottrina e d'azione quali il Mezzacapo ed il Pianeti, nonché il primo capo dello Stato Maggiore generale, il Cocnz; non è lecito, a mio avviso, passare sotto silenzio il fervido ed animoso respiro culturale, di ricca intonazione europea, che vivificava, alla luce di insigni tradizioni dot­trinarie e civili, la scuola economica dei liberisti napoletani, la quale, a parte gli esuli illustri Ferrara e Scialoja, poteva vantare una falange agguerrita, dal Manna al Savarese e dal Minerviui al De Cesare, che temprava anche praticamente la sua efficacia civile nel dibattere argomenti di gravissimo momento, quali l'affrancazione del Tavoliere di Puglia, sulla cui soluzione troppo duramente pese, in seguito, lo spietato fiscalismo del Sella, con risultati che tardarono decenni a potersi modificare. Né quest'attività, é bene sotto­linearlo, ai circoscriveva soltanto, secondo la vecchia carenza meridionale, nell'ambito libresco e nel riecheggiameuto di correnti culturali transalpine: bensì essa si vitalizzava nella polemica pubblicista e nella pratica governativo, in fresco e continuo contatto con la realtà sociale ed economica del paese.