Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDI GIUSEPPE
anno
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1960
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pagina
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617
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labri e periodici
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Vero è, come osserva FA., che i e luoghi dì associazione della Borghesia produttrice , dalle casse rurali a quelle di risparmio ed alle camere di commercio, erano assai più scarsi di onmero e poveri di vitalità nel Mezzogiorno che non nelle altre parti d'Italia. Ma qui la responsabilità va puntualizzata in quella che è l'effettiva, profondissima deficienza della vita pubblica meridionale: l'inefficienza, il clientelismo, il parassitismo nella classe dirigente politica ed amministrativa, o livello locale. Vi è, in altre parole, mancanza d'iniziativa, di autonomia, di capacità all'autogoverno da parte di quell'aristocrazia terriera e di quella borghesia professionistica le quali avevano assunto, in funzione politicamente liberale e socialmente conservatrice, il controllo della situazione all'approssimarsi di Garibaldi, allo scopo di ottundere e vanificare la portata del suo radicalismo democratico di governo. Confluite poi nel seno della Sinistra parlamentare con obiettivo eminentemente antifiscale, queste forze non avevano peraltro mancato di profittare al massimo, in sede di potere locale* dei benefici ulteriori ad esse apportati, nell'ordine economico e sociale, dalla politica di alienazione dell'asse ecclesiastico e del demanio forestale perseguita dalla Destra, secondo un processo di assorbimento obiettivo, strutturale, che ricorda da vicino, con le affini complicazioni finanziarie, quello del primo biennio rivoluzionario in Francia. L'aver Lisciato del tutto cadere gli elementi culturali indigeni più autorevoli (il volume del Russo sulla cultura napoletana ai tempi del De Sanctis costituisce a tal riguardo una fonte preziosa che l'A. ha voluto ignorare); e l'aver rafforzato le singole fonti di potere locale di ceti nuovi, irrequieti ed ambiziosi, a cui il potere centrale, a parte la pressione fiscale, offriva larga garanzia economica e sociale e sicuro sostegno politico, attraverso i prefetti, contro ogni tentativo eversivo dell'ordine costituito: ciò costituisce il profilo, tradizionale ad un tempo ed assolutamente nuovo, sotto il quale si configura la questione meridionale all'indomani dell'unità.
Ad una rapida discussione di questo problema centrale della nostra vita unitaria, sulle orme del Romeo e delle fervide polemiche da luì suscitate, muove l'A. nelle pagine conclusive del suo denso volume. Ma è doveroso segnalare prima, e con lode, le sue considerazioni, che possono estendersi fino all'età giolittiana ed a certe manifestazioni cospicue del socialismo organizzativo, sul carattere protetto che assumono in Italia, le forme economiche anche più. fiorenti e promettenti; quelle sulla irrazionale distribuzione degli istituti accademici e sulle conseguenze retrive di essa (ma anche qui avrebbe giovato un'esemplificazione attenta sulla traccia del Russo); quelle sul sistema parlamentare instaurato dal Cavour, le cui caratteristiche superano d'un balzo le barriere piuttosto anguste dello Statuto albertino. A questo punto, peraltro, vorrei inserire una modesta istanza di precisazione. R parlamentarismo di Cavour è qualcosa che prende vita nella prassi, nella stampa, nell'aula, già a livello di governo, senza la dura e faticosa elaborazione capillare che aveva contraddistinto l'identico processo in Inghilterra. Ciò posto, qual'era il suo fondo popolare e democratico a livello elettorale, il suo liberalismo di base, la sua efficienza formativa sull'autodeterminazione dei cittadini? Quale, in altre parole, la sua incidenza concreta sul costume civile piemontese? Scrivo col pensiero rivolto a quei due famosi contadini di Droncro a cui il sindaco aveva reso impossibile la vita perchè si erano astenuti dal plebiscito elettorale in favore di Giolitti (lo racconta, è noto, lo stesso statista). E mi domando: quali erano le caratteristiche locali, la sensibilità civile, la correttezza politica, il liberalismo individuale e collettivo, insomma, in concreto, della vita pubblica piemontese? Ed ancora: quale scompenso apportò nella coscienza soprattutto dei democratici il brusco passaggio dall'elettorato dei plebisciti a quello ristrettissimo delle votazioni normali (per cui Bertani potè affermare in piena Camera che lo Statuto non era plebiscitario?).
E giungiamo così, dopo interessanti notazioni sulla funzione della burocrazia e l'allargamento del suffragio, alla conclusione meridionalistica . L'A. conviene a ragione con il giudizio del Manacorda secondo cui l'adozione della riforma del 1882 contribuì effettivamente ad e estendere le basi dello Stato nelle regioni settentrionali, attraverso l'immissione di radicali e socialisti in gran numero, in prosieguo di tempo, nella vita pubblica operante. Ma non crede di dover estendere questo criterio di valutazione squi-