Rassegna storica del Risorgimento

MINGHETTI MARCO
anno <1961>   pagina <6>
immagine non disponibile

6 Giuseppe Caputo
Cristianesimo e la civiltà moderna, della validità d'un cattolicesimo affia­tato col pensiero illuministico e liberale, *)
Quando con la pubblicazione del Primato giobertiano e delle Speranze d'Italia, del Balbo, il moto neoguelfo si diffuse rapidamente nella penisola, il Minghetti, per la sua stessa formazione ideologica, doveva essere natu­ralmente incline ad aderirvi. Le speranze del Mingnetti, come di tutti i neoguelfi, furono rinfocolate dall'ascesa al soglio pontificio d'un porporato supposto di spiriti liberali e ammiratore delle idee giobertiane. Ai primi segni d'una riforma in senso costituzionale dello Stato pontificio il Minghetti si pose al servizio di Pio IX, di cui fu ministro: e si distaccò dal Pontefice per combattere tra le file piemontesi solo dopo essersi convinto che non era più possibile far recedere il Pontefice dall'atteggiamento assunto nell'allocuzione del 29 aprile. Al Pontefice, tuttavia, il Minghetti rimase personalmente devoto, rinnovando in extremis il tentativo di disancorare Pio IX dalla reazione europea nella visita del Papa alla diocesi di Bologna: l'incontro, avvenuto in S. Michele in Bosco, convinse il Minghetti della im­possibilità d'una revisione liberale della politica pontificia, del carattere utopistico di ogni ritorno al neoguelfismo. Dopo l'udienza del Pontefice, il Minghetti passava definitivamente al campo avverso, convogliando attorno a sé tutte le forze del liberalismo emiliano, avviandole alla causa piemontese.
Ma l'abbandono del programma neoguelfo per la constatata impossi­bilità della sua attuazione non significò per il Minghetti abbandono della fede tradizionale, né significò distacco dalla Chiesa cattolica. Il fallimento dell'ideale giobertiano indusse il Minghetti alla semplice revisione degli strumenti ritenuti idonei alla promozione della riforma della Chiesa, lo spinse ad una presa di coscienza delle reali condizioni religiose dell'Europa dei suoi tempi, alle quali doveva necessariamente adeguarsi un'azione
?) Nella Sorbona: di riscontro al Quinct e al Michelet stavano due altri professori eloquenti e cattolici, l'Ozanam e l'abate Co.eur. Questi, era stato accusato di avere con oltraggiose parole schernito gli uditori di Michelet. E quantunque avesse disdetto il motto attribuitogli con una lettera nobile e serena, pure l'anfiteatro s'era gremito di giovani acclini a tumultuare. E si provarono ad interromperlo, ma la sua parola pacata ed elo­quente vinse i restii, e li debellò, sicché più volte fu applaudito vivamente. " Io potrei, diss'egli, mostrare che tutte le libertà che l'età moderna ha conquistato e alle quale i popoli al fortemente aderiscono non Bono che un portato dei principii del Cristianesimo, un frutto di quel tronco. Mi contenterò di provarvi che vi è accordo fra l'uno e le altre e che la religione può bene ammettersi nel nuovo ordine di cose " ,
Qnesti pensieri dell'abate Coeur mi ricordano le prediche di due frati che io andavo talvolta ad ascoltare. L'uno era il padre Lncordaire, l'altro il padre Ravignan. Il tema di entrambi volgevo sovente intorno a ciò che la Chiesa accettava tutti i progressi della scienza, della industrio, delle istituzioni politiche (Miri ricordi, voi. I, pp. 132-133).