Rassegna storica del Risorgimento
ARCHIVI ; GERMANIA (REPUBBLICA DEMOCRATICA TEDESCA)
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1961
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pagina
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131
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Libri e periodici 131
mente appassionato vi risalta simpaticamente, por senza soverchia originalità, nell'atmosfera ovattata di una società conformista, percorsa dal fragore di una leggendaria impresa guerresca. Abbastanza gustosa è la ricostruzione documentaria che il Falzone ci offre della rappresentanza della dittatura garibaldina a Londra, esercitata dal principe di Pandolfina. Si presterebbe ad ulteriori sviluppi lo stadio che viene dedicato al problema ferroviario siciliano dal Giuffrida, il quale peraltro si sofferma troppo esclusivamente su un argomento già abbastanza noto come quello delle concessioni ad Adami e Lemmi, si da lasciare un po' sospese a mezz'aria le conclusioni specifiche della sua indagine.
Poco meno della metà della silloge siciliana (pp. 105-87) è occupata dalla ricerca che Caterina Mandala svolge intomo alla pubblicistica insulare negli anni tra il 1830 ed il 1835. Due osservazioni preliminari si impongono a questo proposito: la prima concerne il fatto che l'arco cronologico abbracciato dal saggio è troppo distante dal 1860 perchè j risultati di esso possano reputarsi attuali ed operanti anche al momento della confluenza della Sicilia nell'Italia unita (c'è stata di mezzo, a dir poco, la tempesta del '48!); la seconda attiene alla circostanza che il quinquennio considerato è proprio quello introduttivo del regno del giovinetto Ferdinando II, il cui fervore riformistico e la cui mirabile fioritura etico-politica sono cose troppo vistose e, purtroppo, temporanee per poter essere assunte come testimonianza di un determinato livello culturale europeo raggiunto e mantenuto dalla pubblicistica siciliana. Riprendendo, infatti, polemicamente il tema della vecchia e nota opera del Gentile sul tramonto provincialesco della cultura siciliana, esclusa dalle grandi correnti rinnovatrici di pensiero dello storicismo e del romanticismo, sviluppando i concetti di un'analoga e più recente discussione tra il Di Carlo e lo Sciacca, la Mandala si propone di dimostrare che il regionalismo politico siciliano non si identifica col termine di regionalismo culturale e non può essere, quindi, assunto come sinonimo di arretratezza . Accentrando la sua analisi negli anni intensissimi del viceregno del conte di Siracusa e trascurando di saldare questo periodo col 1860, lungo l'arco di un'intera generazione, l'A. ha senza dubbio buon gioco. Qualche sua identificazione preliminare, cóme quella tra liberismo economico ed unitarismo politico alla matrice comune del romanticismo, lascia abbastanza perplessi (il liberismo è un grande fenomeno europeo suscitato dalla monarchia di Luglio e dell'industrialismo britannico, quindi posteriore alla grande stagione spirituale romantica ed antecedente ad ogni forma distinta e consapevole di unitarismo politico che non fosse una versione ammodernata del disegno egemonico murattiano). Qualche notazione è un po' sfocata, come quella sull'eclettismo, dove, a parte la trascuratezza inesplicabile per l'opera egregia del Mastellone, si dimentica di sottolineare come la filosofìa del Cousin fosse condizionata da un fondamento politico ben preciso, che si compendiava nel moderatismo orleanista. Ma, nell'insieme, prescindendo dalle fondamentali limitazioni accennate, la tesi della Mandala, largamente documentata e ragionata con vigore, regge benissimo. Da un punto di vista strettamente culturale non si può negar che la Sicilia echeggiasse con efficacia il moto di rinnovamento fatto valere sul continente nel campo politico dal Blanch ed in quello economico dal Savarese e dal de Augustinis-Ma, mentre questi nomini potevano richiamarsi ad una tradizione amministrativa murat-tiana da loro stessi vissuta e tuttora attuale e vitalissima nel Napoletano, ciò non si veri. fica va in Sicilia, dove la sola evoluzione politica possibile riguardava, almeno per il momento, non già lo Stato nel suo complesso, ma soltanto il ceto aristocratico, risorto pressoché indenne, ed anzi con accresciuta possibilità di manovra, dalle tempeste del Caracciolo e del Bentinch. La scarsa dimestichezza pratica della borghesia intellettuale siciliana in ciò assai, inferiore a quella napoletana con i congegni amministrativi del potere isteriliva il fervore della sua meditazione in diatribe libresche, utilissime come esercizio di agilità culturale, ma ben lontane dal potersi tradurre in concrete iniziative e soluzioni politiche. Prendiamo ad esempio in esame la fecondità detta posizione culturale classici-ètica quale si manifesta a Napoli alla scuola del Punti e sotto l'influsso del Leopardi, con quelle esigenze di pulizia intellettuale, di rigore filologico, di ben inteso moralismo, che spianano facilmente la via, tanto per fave un nome, ad un de Mei per un intervento