Rassegna storica del Risorgimento

ARCHIVI ; GERMANIA (REPUBBLICA DEMOCRATICA TEDESCA)
anno <1961>   pagina <133>
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Libri e periodici
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agricolo, delle leggi eversive della feudalità, paralizzate nelle loro conseguenze dagli inte­ressi dei ceti possidenti, pensosi che la trasformazione giuridica del dominio terriero non conducesse ad una massiccia immissione in proprietà da parte degli strati contadini più squalificati. Indubbiamente, un certo tecnicismo ed accademismo permane anche nella trattazione di temi assillanti e concretissimi quale il cabotaggio (trasporto commerciale di mezzi nazionali all'interno dello Stato), cavallo di battagb'a dei protezionisti. Malgrado gli allarmi e le esortazioni dei liberisti, l'osmosi teorico-politico-imprenditoriale era ben lungi dal realizzarsi (come d'altronde anche a Napoli) e hi fiammella riformistica del quin­quennio si spegneva ben presto, e bruscamente, nell'autoritarismo accentratoro e livella­tore di Ferdinando II. E soprattutto la sensibilità civile e laica degli economisti era ben lontana da quella dei loro colleghi napoletani, con una carenza che involge pesantemente tutte le remote basi strutturali dello Stato. Quando leggiamo i liberisti non solo adattarsi al monopolio dell'istruzione primaria esercitato dal clero, ma plaudire ad esso con fiducia e con zelo, allora conviene gettare molta acqua sul fuoco della nostra estimazione, e con­cludere che lo svolgimento della coscienza civile della borghesia intellettuale siciliana era ancora abbastanza appannato da pregiudizi ideologici o, peggio ancora, distorto dal desi­derio di evitare il fondo sociale di una questione che il Brancato ci testimonia pur suffi­cientemente avvertita dai contemporanei. Il coro d'italianità e di patriottismo levato da una pleiade di verseggiatori e uomini di scienza intorno alla morte di Bellini ci docu­menta perfettamente come lo stadio dell'interpretazione lirica e dell'aspirazione ideale fosse, nella Sicilia del 1835, come del resto in Italia, ben lungi dall'evolversi in quello di un distinto disegno politico unitario, quale balenava esclusivamente in quegli anni nel­l'inquieto animo appassionato di Giuseppe Mazzini,
Più fortemente ed esclusivamente accentrati che non la silloge siciliana sulla crisi finale del Regno delle Due Sicilie sono i volumi del Saladino e del Moscati, di cui conviene ora discutere le tesi generali introduttive prima di passare ad un esame critico della docu­mentazione vastissima, ed in gran parte inedita, da essi raccolta.
Non ci persuade molto, a dirla francamente, l'insistenza con cui il Saladino torna sulla volontarietà dell'adesione delle classi dirigenti meridionali alla causa unitaria. Tale adesione, concernente per di più soltanto alcuni ceti socialmente determinati, quali l'aristocrazia siciliana e la borghesia professionale del continente con interessi terrieri, mentre la massa della burocrazia e dell'ufficialità Testava borbonica, si verificò soltanto allorché apparvero esperite senza successo tutte le altre possibili soluzioni all'interno della monarchia tradizionale, dal regime costituzionale all'assolutismo riformista, dall'auto­nomia siciliana al governo amministrativo di stampo murattiano, opportunamente am­modernato. La dinastia borbonica, e per essa Ferdinando H le cui eccezionali qualità personali non debbono far dimenticare le responsabilità decisive di una politica senza sbocco e non suscettibile di sviluppo alcuno si rifiutò successivamente di sanzionare tutti questi esperimenti, rinchiudendosi in una prassi attendista, di sopravvivenza quo­tidiana, i cui pericoli apparvero imminenti e massicci quando alla consumata, energica perizia amznJnistrativa di Ferdinando sottentrò l'intelletto pedante e tortuoso, e soprattutto la debolezza sostanziale di Francesco II. In simili circostanze, la concorrenza di un forte Stato padano, dilagante al di là dell'Appennino ed appoggiato dalla Francia, apparve subito assolutamente insostenibile alle classi che meglio, per il loro diuturno contatto con la realtà sociale e soprattutto agricola del paese, potevano rendersi conto dell'inadegua­tezza governativa a stroncare, con un'illuminata opera d'intervento, un'eventuale pro­paganda democratica e rivoluzionaria tra gli strati più squalificati della popolazione. Occorreva impedire che ad un Settentrione moderato e monarchico potesse contrapporsi un Mezzogiorno dove la dinastia rappresentava soltanto una lustra, che sarebbe potuta essere spazzata via prima o poi da una qualche forma di estremismo d'importazione addirittura repubblicano. É vero, come osserva il Moscati, che resta allora da spiegare perchè l'unitarismo abbia fatto assai più rapidi progressi in Sicilia anziché sul continente, mentre non va dimenticato il carattere prevalentemente ideale dell'evoluzione che