Rassegna storica del Risorgimento

ARCHIVI ; GERMANIA (REPUBBLICA DEMOCRATICA TEDESCA)
anno <1961>   pagina <134>
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134 Libri e periodica
aveva condotto gli emigrati siciliani all'unitarismo. Ma alla prima obiezione si risponde osservando che in Sicilia il problema delle campagne era particolarmente esasperato e vivace, e perciò bisognevole di drastici rimedi immediati; che ad un'azione difensiva-offen­siva del genere i ceti possidenti siciliani, compatti ed aggressivi, erano assai meglio pre­parati che non quelli continentali, si da poter organizzare contro l'esercito borbonico una Véra e propria campagna partigiana sistematica, che non trova riscontro nel Napole­tano; che la conquista sabauda avrebbe garantito in Sicilia la lunghissima permanenza di un esercito di occupazione che si avvertiva come straniero ancor più di quello borbonico ma che, a prescindere dalla maggiore efficienza, veniva, a differenza di quello, con un programma determinato di compressione delle classi agricole, specialmente per quanto riguarda la finanza locale e la leva militare. L'unitarismo degli emigrati è poi fuor di discussione: ma che esso si affidasse a motivi prevalentemente ideali è tutt'altro che un bene, in quanto e lo si vede benissimo nel caso di Crispi quest'as­sorbimento nella prassi di governo cavouriana distaccava progressivamente gli emigrati dalla consapevolezza esatta della realtà sociale siciliana, fino a renderli ad essa estranei e quasi ostili.
Il nodo della crisi di dissoluzione del Regno, o quanto meno l'impulso dinamico di essa, ciò che trasforma l'agonia in catastrofe, è dunque in Sicilia. L'evolversi della situa­zione internazionale ha senza dubbio gran peso ma, come torneremo a vedere, si ha gene­ralmente l'impressione che le potenze a parte forse quella più direttamente interessata, la Sardegna ritengano imminente ed ineluttabile lo sfacelo dello Stato, restando sol­tanto in attesa di un qualche sintomo interno o tentativo esterno che awii il processo finale. L'atteggiamento della Sicilia è la condizione perchè esso si scateni o si arresti, almeno temporaneamente. E la responsabilità di fronteggiare quell'atteggiamento ricade sulle spalle dell'uomo meno idoneo ad un tale compito, il principe di Castelcicala. Il luogo­tenente generale è stato tradizionalmente il capro espiatorio per giustificare gli avveni­menti della primavera 1860: e gli ulteriori documenti che oggi vengono in luce accrescono il peso delle recriminazioni gravanti sul capo del Ruffo. E tuttavia si dimentica che egli. non era stato altro, qualche anno innanzi, che lo strumento del rancore personale di Ferdinando H contro Filangieri, che più di ogni altro, quindi, aveva dovuto compri­mere e quasi annullare la propria personalità dinanzi alla volontà soperchiatrice di quel sovrano, che finalmente una delle primissime proposte di governo del Filangieri era stata appunto quella di rimuovere il Castelcicala; e ciò non tanto o non solo per l'animosità che ovviamente separava i due personaggi quanto per l'assennata considerazione che il mi­nistro dovesse seguire la sorte del suo re, e cioè scomparire dalla politica se non dal mondo, se s'intendeva davvero avviare nel Regno un discorso riformatore. Ed il rifiuto immoti­vato di Francesco H a separarsi dal Castelcicala, quando già il principe d'Ischitella (ma s'era pensato anche ad un personaggio di casa reale, con intelligente riferimento al prece­dente del viceregno Siracusa) si accingeva a raggiungere Palermo per sostituirlo, questo rifiuto, dicevamo, resta come una responsabilità gravissima e personale del giovane sovrano, il quale stroncava in tal modo la più interessante iniziativa di Filangieri, di cui venivano nel contempo insabbiati i progetti costituzionali.
Il discorso ci ha condotto a toccare il centro del nostro tema, e delle ricostruzioni storiche del Moscati e del Saladino, e cioè la valutazione della personalità e dell'opera di governo di Carlo Filangieri. Ambedue gli studiosi tendono, sulla traccia dcll'Omodeo, ad un ridimensionamento della figura del principe, di cui certa storiografia meridionalista dell'ultimo Ottocento aveva accennato a fare una sorta di profeta incompreso del Regno autonomo e liberale. U Moscati si spinge più oltre nell'approfondimento della Bua critica mentre H Saladino si serba più riservato, più incline a sottolineare le responsabilità speci-fiche della monarchia e perciò forse più equanime; ma comunque la direttiva è comune, e senza dubbio esatta ed opportuna. Filangieri era veramente l'ultimo e più illustre super­stite del murattismo, ma di quell'atmosfera politica non aveva effettuato il ripensamento critico in chiave storicistica che di essa, in differenti camp}, avevano compiuto il Blanch e gli economisti intorno al Trenta. Per Filangieri, come, ai suoi tempi, per Dragone ttir