Rassegna storica del Risorgimento
ARCHIVI ; GERMANIA (REPUBBLICA DEMOCRATICA TEDESCA)
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1961
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Libri e periodici
campo trincerato d'Abruzzo e nel piano di difesa strategica della Sicilia; stigmatizza l'eccessiva suscettibilità di Francesco II, indice di un'intima ed ostinata malevolenza a lungo repressa, in occasione del richiamo in Napoli del collegio militare di Maddaloni, imposto da Filangieri; riconosce al principe il merito di aver puntualizzato i suoi interessi di politica interna sulla Sicilia e la Calabria, ravvisati giustamente come il nodo di una crisi che il re e Castelcicala si studiavano invano di mascherare; limita opportunamente il valore costruttivo, a cui sembra indulgere il Moscati, della mano tesa di Torino a Napoli in occasione della missione Salmour, di cui è ben messo in luce il prevalente carattere di espediente tattico diplomatico; apprezza al suo non trascurabile, ancorché modesto, valore 1 abbozzo di progetto costituzionale concertato tra Filangieri, Manna e Brenier, pur sottolineando l'errore capitale di non aver in proposito sufficièntemente sondato gli umori delle Tuileries (ma le responsabilità maggiori restano quelle di Francesco II): fissa infine a ragione nelle proposte costituzionali ed in quelle siciliane del giugno 1859 i massimi titoli di merito, per tempestività ed acume, dell'opera di Filangieri, la quale venne a naufragare, a parte la diffidenza ostile del re e della camarilla di Corte, soprattutto a causa del reticolato inestricabile della politica estera. Il salvataggio del Regno non rientrava affatto nei disegni di Napoleone III o Filangieri ebbe il torto gravissimo di non intuirlo subito e neppure di comprenderlo in seguito, insistendo vanamente nella ricerca formale di garanzie che nessuno era disposto a concedergli e procurando, con troppo scoperta ingenuità, di agganciare l'imperatore col rifiuto di sostituire i Francesi a Roma onde mantenere al Regno il velo di difesa delle truppe imperiali. Si sarebbe potuta esperire la linea inglese suggerita da Petrulla: ma, per ciò fare, sarebbe stato indispensàbile, per premunirsi da eventuali sorprese, risolvere preliminarmente la crisi siciliana: e R le proposte di Filangieri urtavano contro il malvolere del re, le tortuosità di Castel-cicala e la stessa pericolosa eccezionalità della posinone dell'amico Maniscalco, ottimo esecutore di direttive poliziesche, uomo intelligente, dinamico ed espertissimo, ma del tutto inadatto, per la sua stessa forma mentale, ad avviare un qualsiasi discorso di rinnovamento riformistico. Sicché Filangieri resta schiacciato in una via senza uscita, nella quale egli si era posto forse con eccessiva baldanza, fidando nell'inesperienza del giovane re, nel prestigio incomparabile del proprio nome e soprattutto nell'efficacia di un sistema di governo caro ai suoi giovani anni, ma che egli non si era curato di rielaborare ed adattare ai tempi nuovi.
Quanto al volume del Moscati, di cui si è fin qui discorso per incidens, occorre salutare nel suo primo capitolo, in quella quarantina scarsa di lucide pagine serratissime che si fan leggere tutte d'un fiato, una magistrale messa a punto dello stato degli studi intorno al a crisi finale del Regno. II Moscati valuta con giusta severità di storiografo l'agiografia del patriottismo meridionale imperversante a fine Ottocento nel l'offuscare l'esatta visione critica della storia del regno di Napoli (e ciò non soltanto per il prevalere di motivi sentimentali individualistici ma anche in rispondenza di un ben determinato disegno culturale e remotamente politico); riconosce, sulla traccia del Fortunato, le gravissime carenze d'informazione e, conscguentemente, storture di giudizio del Croce per quanto concerne l'ambiente sociale della provincia meridionale; esamina con coraggiosa schiettezza i morivi di reverenza culturale e di opportunità politica che trattennero la giovane storiografia italiana intorno al Trenta dell'approfondire criticamente fin d'allora i temi xnen validi ed esaurienti della storia napoletana del Croce; sottolinea con grandissima finezza il grigiore un po' piatto.della successiva storiografia napoletana, tendente alla catalogazione e ad un gioco di contrappesi piuttosto meccanico, rispetto al pathos polemico ed iconoclasta della storiografia siciliana (ma qui sarebbe da aggiungere che questa ultima è impregnata di una sicilianità che, alméno sul piano culturale e spirituale, è elemento costante e ben pugnace ancor oggi, mentre i napoletani non avevano né hanno coscienza di fare storia nazionale al pia è municipale essendosi questa* conclusa, secondo l'insegnamento del Croce, nel 1860); coglie a ragione il profondo significato ideale del passaggio all'opposizione da parte degli economisti dopo il primo quinquennio riformistico di Ferdinando II, mettendo in luce l'elaborazione dottrinaria che comunque