Rassegna storica del Risorgimento
ARCHIVI ; GERMANIA (REPUBBLICA DEMOCRATICA TEDESCA)
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1961
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pagina
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137
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Libri e periodici 137
riuscì a scaturire dalla fioritura di quegli anni, soprattutto in campo amministrativo, o ani anche con importanti soluzioni pratiche; identifica giustamente nella borghesia agraria provinciale il più vero e maggiore nemico della dinastia (ma non specifica a apese di chi essa aspirasse all' effettivo controllo nella vita del paese !); si sofferma sui danni della concentrazione dell'industria meridionale tra Napoli e Salerno, e dell'elevatezza dei costì, di produzione, accennando anche a pericoli dell'industrialismo di vaga ispirazione sociale; deplora l'inadeguatezza del sistema finanziario borbonico a promuovere un ambiente che potesse accogliere fecondamente l'impulso dell'iniziativa privata. In un panorama così ricco, spregiudicato e complesso, che sembra fatto apposta per invitare al dibattito, chi scrive non saprebbe dunque che pienamente consentire, eccetto per la svista riguardante l'istituzione delle Casse di Risparmio (che sorsero nella primavera 1860 ad Aquila e Chic ti, mentre per quest'ultima città il ministro Achille Rosica riusciva ad ottenere anche una filiale del Banco di Napoli) e per l'accento posto sul riserbo dei moderati meridionali a premere sul governo unitario per un più efficace intervento nel Mezzogiorno, mentre si tratta più crudamente di trascuratezza e d'ignoranza degli esatti termini del problema. Ma si badi bene; quest'ignoranza è caratteristica degli emigrati, frastornati da lunghi anni di soggiorno all'estero, soggiogati dalla personalità di Cavour e raggruppati di massima nella Destra ministeriale. Ma la borghesia agraria provinciale di cui si parlava prima, il nuovo ceto dirigente venuto in luce negli ultimi anni, e che avrebbe in seguito ingrossato le fila della Sinistra, era ben addentro a questa realtà, della quale curava di mascherare artificiosamente la sostanza onde potere con maggiore libertà procedere nei propri disegni di arricchimento parassitario, specialmente dopo l'alienazione dell'asse ecclesiastico. Vi è però da aggiungere che il semplice fatto che questa borghesia, spesso affiancata da elementi aristocratici, si ponesse all'opposizione rispetto allo Stato che l'aveva impinguata e le aveva consentito di esercitare un effettivo potere politico ed amministrativo, denunziava uno stato di disagio e d'insoddisfazione nel Mezzogiorno. Malgrado tutto, è soltanto attraverso questa torbida Sinistra avventurosa, con tutte le sue scorie clericali o magari reazionarie, che noi possiamo agganciare qualche aspetto autentico della realtà sociale meridionale, quell'aspetto cioè che anche i moderati conoscevano, ma che avevano presentato all'opinione pubblica europea soltanto in funzione negativa e contingente, per screditare i Borboni e farli apparire incompatibili con la civiltà, senza approfondire gli addentellati obiettivi di fenomeni quali il sistema carcerario, la corruzione burocratica, l'analfabetismo ecc.: propaganda vistosa, insomma, anziché presa di coscienza energica, atta ad avvisare ai rimedi.
E veniamo ora all'esame diretto dei documenti, a proposito dei piali, come abbiamo accennato, si è verificato uno sgradevole inconveniente, in quanto il Saladino e il Moscati hanno entrambi riprodotto la corrispondenza di Francesco II con Filangieri, traendola in parte dall'archivio del generale e in massima parte da quello riservato di casa Borbone, autentica miniera d'informazioni preziosissime, tuttora in attesa di essere indagata e vagliata, acquisita di recente all'Archivio di Stato di Napoli. In mezzo al male si sono verificate due fortunate circostanze, che ne fanno scemare grandemente il danno. In primo luogo, il Moscati ha operato una scelta del carteggio Filangieri e ha edito in riassunto qualche documento, mentre il Saladino ha edito tutta la corrispondenza nel suo testo integrale. Secondariamente, il Moscati inserisce nella sua appendice anche la corrispondenza del re con Castelcicala ed altri numerosi documenti del fondo borbonico, sicché è possibile avere un colpo d'occhio complessivo ed abbastanza esauriente sulla situazione.
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La prima notevole lettera della corrispondenza è quella 4 giugno 1859 con mi Filangieri rinunzia albi carica di consigliere di Stato conferitagli dal re dopo che, per evitare inutili ciarle , aveva differito di parecchi giorni l'incontro col principe, già ventilato all'indomani immediato della morte di Ferdinando II. Senza dubbio, come notano concordemente il Saladino e il Moscati, il vecchio generale aveva avanzato copertamente