Rassegna storica del Risorgimento
PARLAMENTI ; SARDEGNA (REGNO DI)
anno
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1961
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pagina
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554
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554
Walter Maturi
J Veneti e i Lombardi, fratelli nostri, ci guardano aveva detto un senatore genovese, Giorgio Doria sia nostra cura di provare ad essi quanta sia la concordia, la fede e la costanza del proposito e dei sacrifizi fra noi, possa il nostro esempio, il nostro disinteresse e l'abnegazione essere quello che presto li chiami tra le nostre braccia e riunisca pel bene comune in una sola magnifica famiglia.l) E, su proposta del Doria, i senatori si erano proclamati pronti a rinunciare al loro privilegio di senatori a vita se il Re avesse ritenuto necessario questo loro sacrificio per chiamare a se gli altri fratelli d'Italia.
Un'altra iniziativa rese subito simpatico il Senato sul piano liberale. Il Re aveva nominolo senatore il marchese Roberto d"Azeglio, Vapostolo della emancipazione civile e politica delle minoranze religiose in Piemonte. A lui si doveva Veditto del 17 febbraio 1848, col quale Carlo Alberto aveva ammesso i Valdesi al godimento di tutti i diritti civili, e i Valdesi da allora, con fedeltà montanara, gli hanno decretato una gratitudine eterna. È uso tuttavia scrive Giorgio Spini nel suo bel libro sul Risorgimento e i Protestanti 2) della popolazione valdese di battezzare i propri figli con nomi di personaggi della Bibbia o di figure storiche connesse in qualche modo col passato dell'1 Israele delle Alpi. Ma accanto a nomi tratti dalla storia protestante, come Pietro Valdo, Gustavo Adolfo, Enrico (in onore di Enrico Arnaud), ancor òggi, a cento anni di distanza, tra i più usualmente imposti figura sempre quello di Roberto, in onore del generoso patrizio cattolico, che per cristiana carità volle spendere le proprie energie alla liberazione di un popolo di credo diverso. Orbene, divenuto senatore, Roberto d'Azeglio volle estendere con una legge agli Israeliti e agli altri culti acattolici ciò che aveva ottenuto per i Valdesi, e riuscì a spuntarla il 17 giugno 1848.
Così pure, sebbene fosse di nomina regia, il Senato non si peritò di criticare la condotta militare della guerra del 1848, che era nelle mani del Re. Il senatore generale Annibale Saluzzo di Monesiglio sostenne che la guerra era una guerra di entusiasmo e non poteva essere condotta con la metodica delle guerre del Settecento anteriori alla Rivoluzione Francese. Al che il presidente del Consiglio, Cesare Balbo, replicò che le guerre di Napoleone avevano guastato lo spirito di molta gente. *) Dopo l'armistizio Salasco, nell'ottobre 1848, un altro senatore, un homo novus, Giacomo Plezza, si spinse anche pia in là ed affermò che uno dei grandi difetti della nostra guerra è stato appunto quello del non voler trarre partito dalle forze del popolo . Nel rispondergli, a nome del Governo, il ministro dell'Interno, Pinelli, ammise francamente le preoccupazioni conservatrici che avevano impedito l'appello alle forze popolari.
i). ABBI, Cinquantanni di storta parlamentare del Regno d'Italia, Roma, 1898,
voi. I, p. 15
Napoli, 1956, p. 260.
3) Assuan, OD. citi, voi. I, p. 155.