Rassegna storica del Risorgimento

1857 ; BON COMPAGNI CARLO ; RATTAZZI URBANO ; CAVOUR, CAMILLO B
anno <1961>   pagina <691>
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Carlo Pischedda
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temere di perdere l'appoggio (allusione chiara alia diffusissima Gazzetta del Popolo);
2) perseverare nella politica nazionale italiana, ma non intendendola come politica aggressiva, come costante minaccia all'Austria e agli Stati della penisola, facendo credere imminente una lotta, la quale non potrà venire che in un avvenire indeterminato e indeterminabile; patrocinare perciò l'indipendenza italiana, ma, finché l'Europa mantenesse in vigore i trattati del 1815, soltanto nella misura consentita da essi e in proporzione delle proprie forze, pur facendo sapere a tutti che quando venissero in questione le Basi dell'equilibrio europeo , il Piemonte avrebbe usato tutta la sua forza e tutta la sua influenza per difendere i diritti della na­zione italiana;
3) mantenere l'indipendenza del potere civile verso la Chiesa e conservare le riforme approvate in materia ecclesiastica, ma non procedere più oltre;
4) riformare tutti i rami della pubblica amministrazione, in primo luogo le imposte, migliorandone la distribuzione e l'esazione, e poi gli ordinamenti comunale e scolastico, modificandoli entrambi in senso libe­rale, ossia eliminando dal primo i pregiudizi democratici, e dal secondo i pregiudizi anticlericali avversi alla libertà d'insegnamento per tutti e all'esplicazione della legittima influenza della Chiesa nell'educazione religiosa.
Su queste basi sarebbe stato possibile, secondo il Boncompagni, riu­nire non solo tutti i liberali, ma anche altri, più moderati: il governo non doveva chiudere la via alla conciliazione di coloro che s'erano momenta­neamente accostati ai retrivi non per avversione alla libertà, ma per il timore di pericoli inesistenti. E proprio per agevolare la conciliazione bi­sognava rimaneggiare il ministero, allontanando il Rattazzi e il Lanza, invisi alla destra, non graditi a molti, liberali, e in genere poco sostenuti dalla maggioranza della pubblica opinione, ma senza con ciò rompere il connubio in sede parlamentare.
È molto significativo che Cavour, ricevuta la memoria il 4 dicembre, già il giorno dopo, accompagnandola col biglietto riportato all'inizio di questa nota, la sottoponesse all'attenzione del La Marmora, raccoman­dando la massima segretezza. Egli non aveva bisogno di soffermarsi a meditare sulle argomentazioni e conclusioni del Boncompagni, perchè esse non facevano che confermare quasi tutti i suoi convincimenti, soprattutto sull'opportunità di un ritocco alla composizione del governo. Del resto, i dubbi di Cavour sui vantaggi di mantenere la solidarietà governativa col Rattazzi non traevano origine soltanto dagli imprevisti risultati elettorali. Nei rapporti fra i due uomini polìtici (come sappiamo dal Lanza e dal